Teatro Verdi: da carcere a prestigioso palcoscenico
Articolo Pubblicato sulla rivista Microstoria nel 2005
Testo di Roberto Di Ferdinando
Il Teatro Verdi di Firenze da pochi anni ha celebrato i 150 anni di attività, ma la sua storia, caratterizzata anche da molte curiosità, è certamente più antica.
Nell’Ottocento, infatti, il teatro fu costruito al posto del vecchio carcere fiorentino delle Stinche, ubicato tra via del Palagio (oggi via Ghibellina), via de’Lavatoi e, appunto, via Isola delle Stinche.
Il nome Stinche derivava da quello del castello che a tutt’oggi sorge in Val di Greve, presso Lamole (Firenze), in passato di proprietà della famiglia Cavalcanti, che all’inizio del Trecento si ribellò a Firenze. Gli occupanti del castello, sconfitti, furono i primi reclusi delle nuove carceri fatte costruire dalla Repubblica Fiorentina tra il 1305 e il 1310 presso la chiesa di San Simone, su un terreno di proprietà degli espulsi Uberti, che per quell’occasione, come ci ricorda Niccolò Machiavelli nelle sue Istorie fiorentine, furono battezzate delle Stinche.
Nelle carceri delle Stinche erano solitamente reclusi i condannati per reati politici, i traditori, i ribelli, i debitori e i falliti, ma anche le prostitute ed i malati di mente, quando non trovavano posto nelle celle della Fortezza da Basso.
Tra i personaggi più famosi che vi soggiornarono, per reati vari, ricordiamo Niccolò Machiavelli, Giovanni Cavalcanti, Roberto Acciaiuoli, Giovanni Villani e Benvenuto Cellini.
Nel 1780 il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena decise di ridimensionare l’importanza delle Stinche, trasferendo gradualmente i suoi ‘ospiti’ alle prigioni del Bargello che invece fino all’Unità d’Italia continuarono la loro funzione carceraria.
Nel 1815 il Granduca Leopoldo II, intenzionato a risanare la zona, decise di mettere in vendita il lugubre stabile delle Stinche. Fu acquistato da alcuni privati fiorentini (Faldi, Canovetti, Galletti e Massai) per costruirvi un ampio fabbricato che ospitasse alloggi, botteghe e sale ricreative.
Il progetto fu affidato all'architetto Leoni ed i lavori durarono dal 1834 al 1839. Il nuovo edificio, chiamato Fabbrica delle Nuove Stinche, molto più grande del precedente, era alto tre piani, dotato di numerosi cortili ed incorporava gli antichi lavatoi dell’Arte della Lana (in prossimità, oggi, di via de’Lavatoi) che in quell’occasione furono definitivamente smantellati. La Fabbrica era dotata anche di un’ampia sala Filarmonica che rappresenterà il primo nucleo del futuro teatro.
Nel 1851 Girolamo Pagliano, un facoltoso imprenditore fiorentino, che doveva le sue fortune ad uno sciroppo purgativo e con un passato da modesto baritono, acquistò la Fabbrica per costruirvi un teatro sul modello dell’allora principale teatro fiorentino: La Pergola.
Il progetto fu realizzato dagli architetti Telemaco e Carlo Bonajiuti, padre e figlio, mentre per le decorazioni furono incaricati i pittori Luigi dell'Era e Cesare Maffei. Il risultato fu grandioso. Il teatro infatti poteva ospitare fino a 4000 spettatori, era dotato di 200 palchi disposti in sei ordini e l'illuminazione era fornita da 600 lumi a gas. In Italia, per dimensioni, solo la Scala gli era alla pari.
Il teatro, che prese il nome di Imperiale e Reale Teatro Arciduca Ferdinando, dal punto di vista architettonico rappresentò l'elemento di passaggio fra i vecchi modelli e quelli nuovi, quali le arene e i politeama. Questi, però, sebbene più ampi e quindi capaci di ospitare nuove modalità di rappresentazioni, più complesse e grandiose negli allestimenti, spesso erano strutture non coperte e quindi utilizzabili solo per brevi periodi dell’anno. L’ampio teatro di Pagliano suppliva quindi a questo limite diventando una struttura moderna, un luogo ideale anche per le grandi celebrazioni patriottiche.
Il 10 settembre 1854 il teatro fu ufficialmente inaugurato con il Viscardello, l’originario titolo del Rigoletto di Verdi. La rappresentazione fu un insuccesso di critica, ma un trionfo di pubblico. Pagliano infatti aprì l’opera lirica al popolo che per la prima volta poté recarsi a teatro occupando i palchi degli ordini superiori. La cittadinanza riconobbe a Pagliano questo merito soprannominando il teatro con il suo nome. Per molti decenni a Firenze questo luogo sarebbe stato chiamato, e non solo in via informale, Teatro Pagliano.
Nell'ottobre dello stesso anno la rappresentazione del Trovatore di Verdi ottenne un grande consenso come la Norma di Bellini, avviando così una viva e seguitissima stagione lirica, accompagnata anche da spettacoli patriottici, umanitari e culturali, che contribuirono al successo del nuovo teatro.
Nonostante ciò, nel 1868, Pagliano, accanito giocatore di carte, dovette per debiti di gioco cedere il teatro. Fu rilevato da Giuseppe Perti, che negli anni seguenti allestì numerosi programmi lirici, ospitando ancora opere di Verdi, quali la prima fiorentina dell’Otello e dell’Aida. Il legame con Verdi fu talmente forte che nel 1901, dopo la morte del maestro di Busseto, il teatro, che per un breve periodo si era chiamato Cherubini, fu definitivamente intitolato a Verdi.
Da allora fu un crescendo di programmazioni operistiche, alternate a quelle cinematografiche interrotte solo dalla prima guerra mondiale.
Nel 1922 il Verdi riaprì grazie alla Società dei Lavoratori del teatro e sotto la gestione della Società del Teatro Lirico che insieme misero a punto un cartellone operistico di prim’ordine: Gioconda, Rigoletto, Falstaff, Bohème e Aida.
La programmazione teatrale del Verdi subì una inevitabile flessione durante gli anni della guerra, sebbene nella stagione 1944-45 ospitò quasi tutte le manifestazioni dell'Ente del Teatro Comunale data l’inagibilità di quel teatro.
La fine del conflitto e il rinnovato desiderio della cittadinanza di ritornare a teatro resero necessaria una ristrutturazione del Verdi. Quindi nella stagione 1949-50 furono effettuati i restauri e gli interventi architettonici più importanti, a cura dell'archittetto Nello Baroni e del professor Maurizio Tempestini. Questi, senza smantellare le decorazioni barocche ed alterare l’aspetto del classico teatro all’italiana, aggiunsero marmi rosa ai palchi ed ampliarono l'atrio. Fu inoltre demolito, quasi a cavalcare l’attualità politica, il palco reale per creare una spaziosa balconata che aumentò di 200 persone la capienza.
L'11 febbraio 1950 il nuovo Verdi fu inaugurato dalla Compagnia Grandi Spettacoli di Wanda Osiris che rappresentò la nuova rivista di Giovannini e Garinei Sogni di una notte di quest'estate.
Il Verdi si aprì così alla rivista, al varietà ed alla commedia musicale e tra i tanti che ne calcarono le scene troviamo: Totò, Anna Magnani, Alberto Sordi, Carlo Dapporto, Macario, Ugo Tognazzi, Renato Rascel, Aldo Fabrizi, ma anche cantanti nazionali e internazionali, fra tutti, Josephine Baker e Frank Sinatra. E poi la commedia musicale con Gino Bramieri, Nino Manfredi, Domenico Modugno, Delia Scala ecc.., fino ad ospitare anche importanti convegni culturali e scientifici.
Negli anni Ottanta il Verdi riprende ad ospitare le opere liriche e i concerti classici fino a diventare, nel 1998, la nuova sede della Fondazione dell’Orchestra della Toscana (dopo che l’originaria era stata distrutta dalla bomba di via dei Georgofili), a cui è passata la gestione del teatro.
Il Verdi, in vista delle recenti celebrazioni è stato rivisitato nell’acustica, nell’accoglienza e nell’estetica, ma nel suo sottosuolo, volutamente, sono state mantenute alcune celle a ricordo dell’antico carcere delle Stinche.
RDF
Nell’Ottocento, infatti, il teatro fu costruito al posto del vecchio carcere fiorentino delle Stinche, ubicato tra via del Palagio (oggi via Ghibellina), via de’Lavatoi e, appunto, via Isola delle Stinche.
Il nome Stinche derivava da quello del castello che a tutt’oggi sorge in Val di Greve, presso Lamole (Firenze), in passato di proprietà della famiglia Cavalcanti, che all’inizio del Trecento si ribellò a Firenze. Gli occupanti del castello, sconfitti, furono i primi reclusi delle nuove carceri fatte costruire dalla Repubblica Fiorentina tra il 1305 e il 1310 presso la chiesa di San Simone, su un terreno di proprietà degli espulsi Uberti, che per quell’occasione, come ci ricorda Niccolò Machiavelli nelle sue Istorie fiorentine, furono battezzate delle Stinche.
Nelle carceri delle Stinche erano solitamente reclusi i condannati per reati politici, i traditori, i ribelli, i debitori e i falliti, ma anche le prostitute ed i malati di mente, quando non trovavano posto nelle celle della Fortezza da Basso.
Tra i personaggi più famosi che vi soggiornarono, per reati vari, ricordiamo Niccolò Machiavelli, Giovanni Cavalcanti, Roberto Acciaiuoli, Giovanni Villani e Benvenuto Cellini.
Nel 1780 il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena decise di ridimensionare l’importanza delle Stinche, trasferendo gradualmente i suoi ‘ospiti’ alle prigioni del Bargello che invece fino all’Unità d’Italia continuarono la loro funzione carceraria.
Nel 1815 il Granduca Leopoldo II, intenzionato a risanare la zona, decise di mettere in vendita il lugubre stabile delle Stinche. Fu acquistato da alcuni privati fiorentini (Faldi, Canovetti, Galletti e Massai) per costruirvi un ampio fabbricato che ospitasse alloggi, botteghe e sale ricreative.
Il progetto fu affidato all'architetto Leoni ed i lavori durarono dal 1834 al 1839. Il nuovo edificio, chiamato Fabbrica delle Nuove Stinche, molto più grande del precedente, era alto tre piani, dotato di numerosi cortili ed incorporava gli antichi lavatoi dell’Arte della Lana (in prossimità, oggi, di via de’Lavatoi) che in quell’occasione furono definitivamente smantellati. La Fabbrica era dotata anche di un’ampia sala Filarmonica che rappresenterà il primo nucleo del futuro teatro.
Nel 1851 Girolamo Pagliano, un facoltoso imprenditore fiorentino, che doveva le sue fortune ad uno sciroppo purgativo e con un passato da modesto baritono, acquistò la Fabbrica per costruirvi un teatro sul modello dell’allora principale teatro fiorentino: La Pergola.
Il progetto fu realizzato dagli architetti Telemaco e Carlo Bonajiuti, padre e figlio, mentre per le decorazioni furono incaricati i pittori Luigi dell'Era e Cesare Maffei. Il risultato fu grandioso. Il teatro infatti poteva ospitare fino a 4000 spettatori, era dotato di 200 palchi disposti in sei ordini e l'illuminazione era fornita da 600 lumi a gas. In Italia, per dimensioni, solo la Scala gli era alla pari.
Il teatro, che prese il nome di Imperiale e Reale Teatro Arciduca Ferdinando, dal punto di vista architettonico rappresentò l'elemento di passaggio fra i vecchi modelli e quelli nuovi, quali le arene e i politeama. Questi, però, sebbene più ampi e quindi capaci di ospitare nuove modalità di rappresentazioni, più complesse e grandiose negli allestimenti, spesso erano strutture non coperte e quindi utilizzabili solo per brevi periodi dell’anno. L’ampio teatro di Pagliano suppliva quindi a questo limite diventando una struttura moderna, un luogo ideale anche per le grandi celebrazioni patriottiche.
Il 10 settembre 1854 il teatro fu ufficialmente inaugurato con il Viscardello, l’originario titolo del Rigoletto di Verdi. La rappresentazione fu un insuccesso di critica, ma un trionfo di pubblico. Pagliano infatti aprì l’opera lirica al popolo che per la prima volta poté recarsi a teatro occupando i palchi degli ordini superiori. La cittadinanza riconobbe a Pagliano questo merito soprannominando il teatro con il suo nome. Per molti decenni a Firenze questo luogo sarebbe stato chiamato, e non solo in via informale, Teatro Pagliano.
Nell'ottobre dello stesso anno la rappresentazione del Trovatore di Verdi ottenne un grande consenso come la Norma di Bellini, avviando così una viva e seguitissima stagione lirica, accompagnata anche da spettacoli patriottici, umanitari e culturali, che contribuirono al successo del nuovo teatro.
Nonostante ciò, nel 1868, Pagliano, accanito giocatore di carte, dovette per debiti di gioco cedere il teatro. Fu rilevato da Giuseppe Perti, che negli anni seguenti allestì numerosi programmi lirici, ospitando ancora opere di Verdi, quali la prima fiorentina dell’Otello e dell’Aida. Il legame con Verdi fu talmente forte che nel 1901, dopo la morte del maestro di Busseto, il teatro, che per un breve periodo si era chiamato Cherubini, fu definitivamente intitolato a Verdi.
Da allora fu un crescendo di programmazioni operistiche, alternate a quelle cinematografiche interrotte solo dalla prima guerra mondiale.
Nel 1922 il Verdi riaprì grazie alla Società dei Lavoratori del teatro e sotto la gestione della Società del Teatro Lirico che insieme misero a punto un cartellone operistico di prim’ordine: Gioconda, Rigoletto, Falstaff, Bohème e Aida.
La programmazione teatrale del Verdi subì una inevitabile flessione durante gli anni della guerra, sebbene nella stagione 1944-45 ospitò quasi tutte le manifestazioni dell'Ente del Teatro Comunale data l’inagibilità di quel teatro.
La fine del conflitto e il rinnovato desiderio della cittadinanza di ritornare a teatro resero necessaria una ristrutturazione del Verdi. Quindi nella stagione 1949-50 furono effettuati i restauri e gli interventi architettonici più importanti, a cura dell'archittetto Nello Baroni e del professor Maurizio Tempestini. Questi, senza smantellare le decorazioni barocche ed alterare l’aspetto del classico teatro all’italiana, aggiunsero marmi rosa ai palchi ed ampliarono l'atrio. Fu inoltre demolito, quasi a cavalcare l’attualità politica, il palco reale per creare una spaziosa balconata che aumentò di 200 persone la capienza.
L'11 febbraio 1950 il nuovo Verdi fu inaugurato dalla Compagnia Grandi Spettacoli di Wanda Osiris che rappresentò la nuova rivista di Giovannini e Garinei Sogni di una notte di quest'estate.
Il Verdi si aprì così alla rivista, al varietà ed alla commedia musicale e tra i tanti che ne calcarono le scene troviamo: Totò, Anna Magnani, Alberto Sordi, Carlo Dapporto, Macario, Ugo Tognazzi, Renato Rascel, Aldo Fabrizi, ma anche cantanti nazionali e internazionali, fra tutti, Josephine Baker e Frank Sinatra. E poi la commedia musicale con Gino Bramieri, Nino Manfredi, Domenico Modugno, Delia Scala ecc.., fino ad ospitare anche importanti convegni culturali e scientifici.
Negli anni Ottanta il Verdi riprende ad ospitare le opere liriche e i concerti classici fino a diventare, nel 1998, la nuova sede della Fondazione dell’Orchestra della Toscana (dopo che l’originaria era stata distrutta dalla bomba di via dei Georgofili), a cui è passata la gestione del teatro.
Il Verdi, in vista delle recenti celebrazioni è stato rivisitato nell’acustica, nell’accoglienza e nell’estetica, ma nel suo sottosuolo, volutamente, sono state mantenute alcune celle a ricordo dell’antico carcere delle Stinche.
RDF
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