“La Repubblica di Pian dei Giullari” (Giovanni Spadolini)
Nei primi anni Novanta, Giovanni Spadolini ripercorre fisicamente i luoghi della sua infanzia, cioè della “Repubblica di Pian dei Giullari”, come definì quell’area sulle colline di Firenze che va da Pian dei Giullari, dove Spadolini adolescente trascorreva il periodo estivo nella casa del nonno, dimora che poi sarebbe divenuta la residenza fiorentina dello storico-politico, ad Arcetri, San Felice a Ema, il Piazzale Michelangelo, Gavinana, Ponte a Ema, per poi comprendere anche le Cascine del Riccio.
Di quella gita domenicale da adulto, Spadolini riporta le sue considerazioni e sorprese, nel vedere quei luoghi trasformati, nel suo scritto dal titolo, appunto, “La Repubblica di Pian dei Giullari”. Di seguito alcuni passaggi.
RDF
“[…] sciogliere l’ultimo desiderio: rivedere, ed è delusione crudele, la località di Ponte a Ema come io la ricordo da ragazzo. Poche case, poco più che alle Cascine del Riccio, un tantino più inserite nel senso del fiume della vita moderna ma completamente diverse da come la ritrovo oggi.
Un orrendo borgo industriale, molte fabbriche, sinistre centrali, case popolari agghiaccianti, come non si vedono neanche a Rifredi o in San Frediano.
Un insieme estremamente mélangé e direi perfino conturbante, che si distingue in modo radicale da quella che è tutta la scabra dorsale del monte, quasi isolando l’elemento di fantasia e di autonomia.
[…] Non c’è niente dove io riveda la mia infanzia. E’ un altro mondo, come è un altro mondo quello in cui arrivo quando esco dall’autostrada di Firenze-sud nelle zone intorno a piazza Gavinana, al viale Europa di cui non c’era traccia quando io ero bambino (potrebbe essere Roma o potrebbe essere Torino), non ha niente a che fare né con Pian dei Giullari né con Firenze né con lo stile fiorentino.
Al massimo ritrovo qualche traccia di quella Firenze nelle case, quelle sì, tutte con le facciate in pietra, delle strade intorno a via Benedetto Fortini fino allo sbocco del Ponte di ferro. Quelle erano già costruite prima della guerra e debbo dire di più, che quelle case popolanti il rione di Gavinana a me bambino (ero ancora inesperto di arte) apparivano bellissime.
Il falso antico mi impressionava molto. Quel richiamo a motivi danteschi, della Firenze dantesca, della Firenze conservata nella pseudo-casa di dante mi facevano una singolare impressione e fin che non ebbi tredici o quattordici anni credetti che segnassero anche un livello sociale superiore a quello delle famiglie della borghesia del centro.
Era vero l’opposto. Erano tutte case di impiegati e dipendenti ferroviari o postali, tutti di un ceto inferiore a quello, diciamo, dei liberi professionisti cui appartenevamo noi. Ed erano case all’interno – lo vidi una volta che ebbi un compagno di scuola da cui andai a fare i compiti – assai più modeste delle case nostre ispirate a un tenore che, come diceva Montanelli, respirava il clima della borghesia toscana, la più civile di tutte le aristocrazie.”
(Giovanni Spadolini - “La Repubblica di Pian dei Giullari” in La mia Firenze)
Di quella gita domenicale da adulto, Spadolini riporta le sue considerazioni e sorprese, nel vedere quei luoghi trasformati, nel suo scritto dal titolo, appunto, “La Repubblica di Pian dei Giullari”. Di seguito alcuni passaggi.
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“[…] sciogliere l’ultimo desiderio: rivedere, ed è delusione crudele, la località di Ponte a Ema come io la ricordo da ragazzo. Poche case, poco più che alle Cascine del Riccio, un tantino più inserite nel senso del fiume della vita moderna ma completamente diverse da come la ritrovo oggi.
Un orrendo borgo industriale, molte fabbriche, sinistre centrali, case popolari agghiaccianti, come non si vedono neanche a Rifredi o in San Frediano.
Un insieme estremamente mélangé e direi perfino conturbante, che si distingue in modo radicale da quella che è tutta la scabra dorsale del monte, quasi isolando l’elemento di fantasia e di autonomia.
[…] Non c’è niente dove io riveda la mia infanzia. E’ un altro mondo, come è un altro mondo quello in cui arrivo quando esco dall’autostrada di Firenze-sud nelle zone intorno a piazza Gavinana, al viale Europa di cui non c’era traccia quando io ero bambino (potrebbe essere Roma o potrebbe essere Torino), non ha niente a che fare né con Pian dei Giullari né con Firenze né con lo stile fiorentino.
Al massimo ritrovo qualche traccia di quella Firenze nelle case, quelle sì, tutte con le facciate in pietra, delle strade intorno a via Benedetto Fortini fino allo sbocco del Ponte di ferro. Quelle erano già costruite prima della guerra e debbo dire di più, che quelle case popolanti il rione di Gavinana a me bambino (ero ancora inesperto di arte) apparivano bellissime.
Il falso antico mi impressionava molto. Quel richiamo a motivi danteschi, della Firenze dantesca, della Firenze conservata nella pseudo-casa di dante mi facevano una singolare impressione e fin che non ebbi tredici o quattordici anni credetti che segnassero anche un livello sociale superiore a quello delle famiglie della borghesia del centro.
Era vero l’opposto. Erano tutte case di impiegati e dipendenti ferroviari o postali, tutti di un ceto inferiore a quello, diciamo, dei liberi professionisti cui appartenevamo noi. Ed erano case all’interno – lo vidi una volta che ebbi un compagno di scuola da cui andai a fare i compiti – assai più modeste delle case nostre ispirate a un tenore che, come diceva Montanelli, respirava il clima della borghesia toscana, la più civile di tutte le aristocrazie.”
(Giovanni Spadolini - “La Repubblica di Pian dei Giullari” in La mia Firenze)
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