I fondi commerciali e il "fare di conti"….nella Firenze medievale

Testo di Roberto Di Ferdinando

Storicamente Firenze è città di commercianti e mercanti. Nel Medioevo in città erano numerose le botteghe di artigiani e di venditori al dettaglio od all’ingrosso di beni e cibarie (a riguardo si legga il post: Modi di dire: essere uscio e bottega) e tale tradizione commerciale si è tramandata fino ai nostri giorni; oggi parliamo, però, di negozi, oppure di “fondi commerciali”. Il termine “fondo” a fini commerciali deriva dalla parola “fondaco” (dall’arabo funduq). Intorno al XII e XIII secolo in Toscana, specialmente a Firenze e a Pisa (che avevano stretti rapporti commerciali con i paesi del nord Africa), con la parola fundaco si indicava un edificio commerciale e Keith Devlin, matematico e storico statunitense, nel suo libro “I numeri magici di Fibonacci” lo descrive così: “nella parte anteriore, clienti e mercanti si incontravano per discute di mercanzie, prezzi e politica, mentre nel retro il contabile teneva i registri. Alcuni dei fondachi più grandi offrivano ai mercanti in viaggio una sistemazione e un posto dove depositare i loro beni; era inoltre qui che venivano riscosse le tasse imposte dai governi.”
In quell’epoca il sistema monetario della penisola italiana era molto articolato, esistevano 28 monete diverse (la più alta concentrazione mondiale di valute differenti) e nella sola Toscana ne esistevano sette. Indicativamente: “le monete di minor valore erano i denari; dodici denari facevano un solidus e venti solidi una libbra (da cui lira)”. Per fare i conti il contabile utilizzava un abaco, una sorta, alla lontana, di pallottoliere: “era suddiviso in sette righe orizzontali: quella più in basso era usata per i denari, la seconda rappresentava i soldi, la terza le lire, la quarta i multipli di venti lire, la quinta le centinaia di lire, la sesta le migliaia di lire e, nella settima e ultima fila, un gettone rappresentava diecimila lire. Alcuni contabili utilizzavano gettoni di diverso colore per indicare i numeri intermedi. [..] I giovani diventavano contabili dopo un periodo di apprendistato. All’inizio si limitavano ad osservare il maestro mentre svolgeva i suoi compiti; quindi iniziavano a lavorare al suo fianco, passandogli i gettoni dalle ciotole collocate vicino alla tavola di calcolo; infine, sotto l’occhio vigile dell’istruttore, cominciavano a cimentarsi in prima persona in qualche calcolo. Anche nelle mani di un esperto, tuttavia, queste tavole di calcolo restavano pur sempre uno strumento scomodo e non permettevano di tener traccia delle operazioni eseguite.
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