Carlo Goldoni in Toscana

Testo e Foto di Roberto Di Ferdinando

Carlo Goldoni (1707-1793), visse a lungo nella nostra regione, e qui compose anche alcune tra le sue più celebri commedie. Egli fu per la prima volta in Toscana nella primavera del 1742, quando, rifugiatosi da alcuni anni a Rimini per fuggire ad alcuni creditori veneziani, decise, assieme alla moglie, di visitare la Toscana: “[…] libero e padrone come io della mia volontà, e sufficientemente provvisto di denaro, misi in esecuzione un antico mio disegno. Volevo vedere la Toscana, volevo percorrerla ed abitarla per qualche tempo, abbisognandomi trattar familiarmente con i Fiorentini ed i Senesi, testi viventi della buona lingua italiana” . Per i coniugi Goldoni l’avvicinamento a Firenze non fu semplice, a dimostrazione della storica difficoltà nei collegamenti tra Firen-ze e Bologna: “non era ancora aperta nel 1742 la nuova strada (sarebbe stata aperta nel 1749) che da Bologna conduce a Firenze: presentemente vi si va in un giorno, quando prima ne abbisognavano almeno due per attraversare quelle alte montagne tra le quali è racchiusa la Toscana. Scelsi la più corta ed affidai le mie robe ad un vetturale. Si venne per la posta fino a Castrocaro, di là attraversammo a cavallo le alpi di San Benedetto e quindi giungemmo a Firenze”. Goldoni si trattenne a Firenze quattro mesi, durante i quali frequentò gli ambienti culturali della città entrando in amicizia, tra gli altri, con il senatore Giulio Rucellai, a cui dedicherà La locandiera, ambientata per l’appunto a Firenze, il dottor Antonio Cocchi, medico sistematico, filosofo, professore universitario, l'abate Anton Francesco Gori, antiquario dottissimo ed eruditissimo nella lingua etrusca, e l'abate Giovanni Lami, autore di un giornale letterario, le "Novelle letterarie", "la miglior opera che si sia fin qui veduta in Italia in questo genere". A Firenze prese inoltre spunto da un racconto qui narratogli per comporre successivamente la commedia L'avaro geloso. Ma in quella stessa estate Goldoni lasciò Firenze per iniziare un viaggio di studi per la Toscana. Si recò prima a Siena, poi in Maremma ”vasto terreno inutile”, visitò Volterra, Piccioli e Pisa. Nella città della torre pendente si fermerà per oltre tre anni. Entrerà qui a far parte della Colonia Alfea, un circolo culturale legato agli Arcadi di Roma, assumendo il nome di Polissenio Fegeo. A Pisa Goldoni riprende la sua attività di avvocato civilista e penalista, senza però dimenticare la sua antica passione: il teatro. Proprio a Pisa scriverà  I cento e quattro accidenti in una notte, Il figlio d’Arlecchino perduto e ritrovato e Tonin Bella Grazia. Visiterà quindi Lucca, ”trascorremmo sei giorni nel modo più piacevoli. […] lasciai con risentimento quel paese degno d’ogni rispetto […]” quindi Pescia, Pistoia e Prato. Ma nel luglio del 1747 un’incontro casuale con il capocomico Girolamo Medebac a Livorno, dove ambienterà la successiva La trilogia della villeggiatura, spingerà definitivamente Goldoni a dedicarsi al teatro. Accetta infatti l’offerta dell’attore di collaborare stabilmente con la sua compagnia al teatro Sant’Angelo di Venezia, ma prima di lasciare la Toscana volle nuovamente fermarsi a Firenze. Qui infatti assistette, presso l’Accademia degli Apatisti (fondata a Firenze nel 1635 con compito di studiare la lingua toscana), al Sibillone, cioè ad un passatempo letterario, in cui un fanciullo doveva rispondere d’istinto ad una domanda postagli da una persona del pubblico scelta a caso. Un accademico poi, articolando l’interpretazione dell’oracolo-fanciullo, avrebbe giudicato la correttezza o meno della risposta. Durante il Sibillone a cui assistette Goldoni al fanciullo fu posta la seguente domanda: “perché le donne piangono più sovente e più facilmente degli uomini?”. La risposta del fanciullo fu “paglia”. L’accademico, incaricato di giudicare la validità o meno della risposta, la ritenne giusta; infatti, facendo l’analisi delle piante leggere, dimostrò che la paglia superava le altre in fragilità, e quindi passando poi dalla paglia alla donna ne esaltò la sensibilità. Il giorno successivo i Goldoni lasciarono Firenze: “desiderando che i Fiorentini e i Bolognesi trovassero il mezzo di agevolare quell'alpestre cammino, per cui rendevasi noiosa e difficilissima la comunicazione di co-desti due paesi importanti”.
Goldoni ritornò a Firenze nella primavera del 1753, quando, abbandonata la compagnia di Medebec, decise di proseguire la pubblicazione del suo teatro rivolgendosi al noto stampatore fiorentino Paperini. A Firenze Goldoni fece infatti stampare, a sue spese, 50 sue commedie raccolte in 10 preziosissimi volumi: tra il 1753 e il 1757 furono edite e vendute tutte le 1700 copie stampate.
Nel 1873 Firenze volle dedicare un luogo della città ed una statua al grande commediografo veneziano; gli fu quindi intitolata la nuova piazza, che ancor oggi porta il suo nome, che si era venuta a creare in seguito al proseguimento dei lungarni con i lavori per Firenze capitale. Sulla piazza fu quindi collocata dai filodramma-tici fiorentini una statua di Goldoni opera di Ulisse Cambi.
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La statua dedicata a Carlo Goldoni nell'omonima piazza a Firenze.

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