Le poesie di Neruda dedicate a Firenze
Il 9 gennaio 1951 il poeta Pablo Neruda, in visita a Firenze, fu ospite dell’allora sindaco della città, Mario Fabiani, in Palazzo Vecchio. Quella visita gli ispirò alcuni versi raccolti successivamente in due poesie, una dedicata alla città, l’altra all’Arno .
Solo nel 1988 in seguito ad un evento dedicato al poeta cileno e celebrato a Villa Arrivabene di piazza Alberti a Firenze, quelle poesie furono pubblicate in italiano. Il 3 marzo 2004, nel celebrarne il centenario della nascita, Firenze dedicò a Neruda un convegno in Palazzo Vecchio e le due poesie furono per la prima volta declamate dinanzi ad un vasto pubblico.
“E quando in Palazzo Vecchio, bello come un'agave di pietra,
salii i gradini consunti, attraversai le antiche stanze,
e uscì a ricevermi un operaio, capo della città, del vecchio fiume, delle case tagliate come in pietra di luna, io non me ne sorpresi: la maestà del popolo governava.
E guardai dietro la sua bocca i fili abbaglianti della tappezzeria, la pittura che da queste strade contorte venne a mostrare il fior della bellezza a tutte le strade del mondo.
La cascata infinita che il magro poeta di Firenze lasciò in perpetua caduta senza che possa morire, perchè di rosso fuoco e acqua verde son fatte le sue sillabe.
Tutto dietro la sua testa operaia io indovinai.
Però non era, dietro di lui, l'aureola del passato il suo splendore: era la semplicità del presente.
Come un uomo, dal telaio all'aratro, dalla fabbrica oscura, salì i gradini col suo popolo e nel Vecchio Palazzo, senza seta e senza spada, il popolo, lo stesso che attraversò con me il freddo delle cordigliere andine era lì.
D'un tratto, dietro la sua testa, vidi la neve, i grandi alberi che sull'altura si unirono e qui, di nuovo sulla terra, mi riceveva con un sorriso e mi dava la mano, la stessa che mi mostro il cammino laggiù lontano nelle ferruginose cordigliere ostili che io vinsi.
E qui non era la pietra convertita in miracolo, convertita alla luce generatrice, né il benefico azzurro della pittura, né tutte le voci del fiume quelli che mi diedero la cittadinanza della vecchia città di pietra e argento, ma un operaio, un uomo, come tutti gli uomini.
Per questo credo ogni notte del giorno, e quando ho sete credo nell'acqua, perchè credo nell'uomo.
Credo che stiamo salendo l'ultimo gradino.
Da lì vedremo la verità ripartita, la semplicità instaurata sulla terra, il pane e il vino per tutti.”
P. Neruda ( “La città”)
Solo nel 1988 in seguito ad un evento dedicato al poeta cileno e celebrato a Villa Arrivabene di piazza Alberti a Firenze, quelle poesie furono pubblicate in italiano. Il 3 marzo 2004, nel celebrarne il centenario della nascita, Firenze dedicò a Neruda un convegno in Palazzo Vecchio e le due poesie furono per la prima volta declamate dinanzi ad un vasto pubblico.
“E quando in Palazzo Vecchio, bello come un'agave di pietra,
salii i gradini consunti, attraversai le antiche stanze,
e uscì a ricevermi un operaio, capo della città, del vecchio fiume, delle case tagliate come in pietra di luna, io non me ne sorpresi: la maestà del popolo governava.
E guardai dietro la sua bocca i fili abbaglianti della tappezzeria, la pittura che da queste strade contorte venne a mostrare il fior della bellezza a tutte le strade del mondo.
La cascata infinita che il magro poeta di Firenze lasciò in perpetua caduta senza che possa morire, perchè di rosso fuoco e acqua verde son fatte le sue sillabe.
Tutto dietro la sua testa operaia io indovinai.
Però non era, dietro di lui, l'aureola del passato il suo splendore: era la semplicità del presente.
Come un uomo, dal telaio all'aratro, dalla fabbrica oscura, salì i gradini col suo popolo e nel Vecchio Palazzo, senza seta e senza spada, il popolo, lo stesso che attraversò con me il freddo delle cordigliere andine era lì.
D'un tratto, dietro la sua testa, vidi la neve, i grandi alberi che sull'altura si unirono e qui, di nuovo sulla terra, mi riceveva con un sorriso e mi dava la mano, la stessa che mi mostro il cammino laggiù lontano nelle ferruginose cordigliere ostili che io vinsi.
E qui non era la pietra convertita in miracolo, convertita alla luce generatrice, né il benefico azzurro della pittura, né tutte le voci del fiume quelli che mi diedero la cittadinanza della vecchia città di pietra e argento, ma un operaio, un uomo, come tutti gli uomini.
Per questo credo ogni notte del giorno, e quando ho sete credo nell'acqua, perchè credo nell'uomo.
Credo che stiamo salendo l'ultimo gradino.
Da lì vedremo la verità ripartita, la semplicità instaurata sulla terra, il pane e il vino per tutti.”
P. Neruda ( “La città”)
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