Botticelli "piagnone" beniamino dei Medici

“[…] Secondo alcuni scrittori, Botticelli divenne un <<piagnone (il nome irrisorio con cui venivano chiamati i seguaci del frate Savonarola) ma solo dopo il martirio del Savonarola. Nella National Gallery londinese vi è un misterioso dipinto del Botticelli noto col titolo L’adorazione mistica, che può essere interpretato come un’enigmatica allusione al martirio e alle profezie del monaco. […] . Sia vero o no che Botticelli diventasse un <<piagnone>> come Lorenzo di credi e Fra Bartolomeo e rinnegasse i suoi nudi pagani, come fece più tardi l’Ammannati, è certo che l’atmosfera delle sue ultime opere è inasprita da una violenta tensione. Una qualche lotta interiore, tipicamente fiorentina, dovette insediarsi nell’animo di questo artista, che fu chiaramente, in ogni caso, uomo di vaste contraddizioni, se si pensa che la sua bottega dalla quale sorgevano tante Vergini languide e sognanti erano centro famoso di burle e di <<beffe>> fiorentine.
Dopo la Primavera  e la Venere un realismo aspro, asciutto, nervoso, comincia a inacerbare le sue forme, ancora lievi, alla prima occhiata, e dolcemente, voluttuosamente pensose nello stile che gli era proprio: i soffici ricci dorati si appesantiscono e più gravi diventano i panneggi, come nei gesti mimati di una tediosa sciarada. Nel 1480 egli dipinse per la chiesa di Ognissanti un grande affresco angoloso in strani toni di giallo e di grigio raffigurante Sant’Agostino nel suo studio; quest’opera rivela una drammatica simpatia col santo proto-calvinista. Al tempo del piccolo dipinto intitolato Calunnia (1490; savonarola fu giustiziato nel 1498), la metamorfosi è compiuta. Una fredda, maligna bruttezza emana dalle figure di questa composizione neo-classica, dove un Giudice Ingiusto, con orecchi d’asino, seduto su un trono, è assistito dalla ignoranza e dal Sospetto, mentre l’Odio conduce la Calunnia, che porta la torcia della Verità e trascina per i capelli l’Innocenza, una giovane donna seminuda.. la Calunnia è seguita dalla Frode e dall’Invidia che intrecciano rose nei suoi capelli ramati. Dietro di loro avanza il Rimorso, una vecchia vestita di nero, e la Verità Nuda, con lunghi biondi capelli disciolti, che immobile come una statua alza l amano destra ad additare il Cielo, in un gesto fatidico. Nello sfondo, dietro le arcate di una pesante architettura classica appare un mare verde-pallido, che rammenta, come la figura della Verità, la Nascita di Venere. Questo richiamo al passato è come un rimbalzo vendicativo sul Botticelli arcadico, più antico; la Calunnia è un Arcadia divenuta violenta e paranoide.
Tale, in ogni suo gesto, è la pittura puritana per eccellenza : fredda, declamatoria, programmatica, affatto priva della nordica fantasia delle <<tentazioni>> di Bosch, per esempio, dove almeno il demonio è fertile. Botticelli fu il pittore beniamino dei Medici, una famiglia in cui il puritanesimo si combinava o si alternava con una sensualità animalesca e la freddezza con la genialità. Cosimo il Vecchio era freddo, abile e ascetico; era un uomo che sapeva aspettare, una caratteristica felina che ricompare in Cosimo I e nella giovane Caterina, gli accaparratori di potere della famiglia. D’altro canto, invece, il figlio del vecchio Cosimo, Giovanni, era un sibarita che viveva alla giornata e morì di indigestione. Lorenzo il Magnifico fu <<incredibilmente dedito alla soddisfazione di una passione amorosa>>, per esprimersi come Roscoe, il suo biografo settecentesco; la sua sensualità era incontrollata, una perpetua smania taurina. Tre Medici furono fisicamente attraenti: il bel Giuliano e suo figlio, papa Clemente, e il cardinale Ippolito, che fu ritratto da Tiziano in abiti ungarici. Lorenzo, anche nei suoi ritratti che a quanto si tenderebbero a migliorarlo, ha un fisico curioso; con i capelli neri e lisci, il labbro superiore lungo e sottile, il naso aquilino e la carnagione olivastra, è simile ad un capo Sioux. Era molto miope, aveva una voce aspra e sgradevole, e praticamente era privo del senso dell’odorato; come tutti i Medici, soffriva di gotta. Suo padre, Piero il Gottoso, ne rimase zoppo per tutta la vita. Lorenzo duca d’Urbino, il padre di Caterina de’Medici, morì di sifilide. […]”
(Mary McCharty, Le pietre di Firenze, 1956)

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