Manzoni e il fiorentino

“[…] tra le correzioni più evidenti - e più ricorrenti - che Manzoni aveva fatto nella nuova e definitiva edizione del romanzo, c’era proprio il passaggio da egli a lui, da ella a lei e da eglino o elleno  a loro. Usare il fiorentino parlato dalle persone colte, infatti, significava per Manzoni adeguarsi anche ad alcune scelte contrarie alla tradizione grammaticale. Ad esempio, smettere di usare alla prima persona dell’imperfetto le forme letterarie in -a (io andava, faceva, veniva) sostituendole con quelle in -o (io andavo, facevo, venivo). O passare da veggo a vedo, da dimandare a domandare, da servigio a servizio, da quistione a questione; preferendo - anche nel lessico - forme più usuali, sebbene non specificamente fiorentine: tavola al posto di desco, prigioniera invece di captiva, palazzi invece di palagi. E talvolta introdurre, nella sintassi, costrutti tipi del parlato:<<Pane, ne avrete>>, <<il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare>>.
Anni dopo, quando l’Italia raggiunse l’unità politica (1861), I promessi sposi divennero un testo fondamentale per l’educazione scolastica. E il modello fiorentino - ribadito da un anziano Manzoni, ormai senatore, in una relazione ufficiale al ministro della Pubblica istruzione - divenne il punto di riferimento per provare a unificare una popolazione divisa ancora in tanti dialetti.”
(Tratto da: Il museo della lingua italiana, di Giuseppe Antonelli - Mondadori)

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