La Firenze descritta da Mary Mc Carthy (continua)



“[…] I fiorentini del Medioevo e del Rinascimento quando andavano in battaglia si portavano statue con sé. Savonarola, anche se, presumibilmente, nemico dell’arte, si portò in processione un Bambino Gesù di Donatello nel giorno dei bruciamenti di <<vanità>> quando furono bruciati tanti dipinti secolari, fra cui gli studi dal vero di Fra Bartolomeo. Secondo una credenza popolare, sopravvissuta fono al secolo attuale, degli spiriti erano imprigionati nelle statue. La statua di Nettuno dell’Ammannati nella fontana di piazza della Signoria è chiamata <<Il Biancone>>, un tempo si credeva che fosse il potente dio fluviale dell’Arno mutato in statua perché, come Michelangelo, sdegnava l’amore delle donne. Racconta la leggenda che a mezzanotte, quando la luna piena vi risplende sopra, egli torna alla vita e passeggia per la piazza conversando con le altre statue. Prima di diventare statua, il David di Michelangiolo era conosciuto come Il gigante. Era un enorme blocco di marmo rubato da Agostino di Duccio; umanizzato dalla fantasia popolare, giacque nei laboratori della Cattedrale finché Michelangiolo non fece del  <<gigante>> l’uccisore del gigante ovvero un’immagine patriottica del piccolo paese che sbaraglia i suoi maggiori avversari. La leggenda tramanda che dei giganti costruirono le grandi mura etrusche di Fiesole […].
Più di ogni altra piazza in Italia, Piazza della Signoria evoca il mondo antico, non solo nelle colossali statue deificate […].  Alcuni sono Grecia e Roma antica; altri Rinascenza; altri appartengono all’epoca manieristica; uno al diciannovesimo secolo. Pure fra di essi non esiste disarmonia; paiono tutti figli di uno stesso grembo, un’esperienza ininterrotta, un conio periodicamente reimpresso. Il mondo che evocano è sanguinario. Quasi tutti questi gruppi stanno lottando […] .
Questa piazza, dominata da palazzo vecchio, antica sede di governo, possiede un’austera bellezza virile […] . Qui si trovava il centro civico, distinto dal centro religioso della piazza del Duomo e del Battistero e dai due mercati. La Giuditta e Oloferne di Donatello fu portata qui da Palazzo Medici, dov’era parte di una fontana, e sistema sulla <<aringhiera>> di Palazzo Vecchio quale emblema di pubblica salvezza; una iscrizione sulla base dichiara che ciò fu compiuto dal popolo nel 1493, quando i Medici furono cacciati e i loro tesori dispersi. La aringhiera era la piattaforma sulla quale si svolgevano le orazioni politiche e si leggevano al popolo i decreti della Signoria, e la statua di Giuditta che taglia la testa del tiranno intendeva simboleggiare, in modo più sintetico delle parole, la liberà popolare trionfante sul dispotismo. I Medici furono ripetutamente cacciati da Firenze, e sempre vi ritornarono. Quando Cosimo I instaurò la sua dittatura, per commemorare il trionfo del dispotismo sulla democrazia ordinò al Cellini il Perseo. Nel frattempo il Bruto di Michelangelo era stato commissionato, così si crede, da un privato per onorare Lorenzino de’Medici, che aveva meritato il nome di Bruto con l’assassinio del suo lontano cugino, il ripugnante tiranno Alessandro.  […]. Nella piazza, le statue erano lezioni ammonitrici o <<esempi>> civili, e la durata della materia, marmo o bronzo, implicava la convinzione o la speranza che la lezione sarebbe stata definitiva. […]”
Mary Mc Carthy, Le pietre di Firenze, 1956)

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