1865-1870: Firenze e l’Europa. Giuseppe Mengoni e il Sistema dei nuovi mercati della città.

di Rita Panattoni

Tratto da “Nuova Antologia” di Aprile-Giugno 2015

“[…] il contributo intende riflettere sulle vicende che hanno condotto alla realizzazione del sistema dei nuovi mercati fiorentini, sia durante gli anni frenetici in cui la città toscana riveste suo malgrado il ruolo di capitale (provvisoria d) del Regno d’Italia (1865-1870), sia in quelli immediatamente successivi al (poi temuto) trasferimento della stessa capitale a Roma (1871): il Mercato Centrale dei Camaldoli di San Lorenzo (1874) e i due mercati succursali di Sant’Ambrogio alla Mattonaia (1873) e di San Frediano in Oltrarno (1875).
L’inattesa centralità acquisita da Firenze unita alla ristrettezza dei tempi utili per dotare la città di servizi adeguati ritenuti urgenti, oltreché indispensabili, impongono alla classe dirigente fiorentina di avvalersi delle competenze di professionisti qualificati in ambito nazionale, e appunto in questa cornice che si inserisce l’opera di Giuseppe Mengoni (1829-1877): l’ingegnere-architetto di formazione bolognese, assurto alle cronache internazionali come uno dei protagonisti dell’architettura italiana del periodo postunitario per la ‘straordinaria’ galleria Vittorio Emanuele II di Milano appena inaugurata (1867). Il Mengoni sarà coinvolto dal Comune nell’impresa dei nuovi mercati delle vettovaglie, prima in qualità di esperto consulente (1867) e in seguito come autore del progetto (1868-1870). [Firenze – con l’apporto del Mengoni – partecipa attivamente ad un fenomeno culturale complesso, destinato ad incidere fortemente sull’immagine architettonica e sull’assetto urbanistico delle città di fine ottocento (non solo italiana): la trasformazione morfologica e tipologica del tessuto urbano antico come rappresentazione dell’ascesa della nuova classe borghese e del consolidarsi delle sue aspirazioni; il gigantismo degli edifici come stimolo per la dominante cultura dello storicismo architettonico ad andare oltre la pura citazione e la colpa.
[…] .
A Firenze la facies ancora medievale del centro urbano, coincidente con l’area del Mercato Vecchio, sarà definitivamente cancellata, laddove gli edifici antichi più significativi della sua storia verranno <<isolati>> come <<monumenti>> di un passato glorioso, avulsi dal contesto per il quale erano stati concepiti. E come un ‘monumento’ del presente (identificato ora col Progresso) sarà progettato il Nuovo Mercato Centrale fiorentino di Mengoni: un’originale, moderna ‘cattedrale del cibo’ (soprattutto se si considera che cominciò a funzionare effettivamente dopo diversi anni dacché era stato inaugurato).
Accogliendo buona parte dei suggerimenti contenuti nella memoria sui mercati del 1862 dell’architetto Giuseppe Poggi, già alla fine del 1864
[…] si delibera la demolizione del secolare Mercato Vecchio, trasferendo la vendita di vettovaglie nei Camaldoli di San Lorenzo […] mentre si prevedono due nuovi mercati rionali, da costruirsi presso Porta alla Croce, fra il nuovo quartiere della Mattonaia e quello popolare di Sant’Ambrogio, e nella zona dei Camaldoli di San Frediano in Oltrarno. Il sistema ‘mercato generale-mercati di quartiere’ viene infatti adottato in tutte le grandi città europee come il più vantaggioso per l’approvvigionamento e lo smistamento delle terre. La decisione interrompe la lunga serie di progetti diretti a ricostruire il nuovo mercato nella medesima area di quello vecchio; tuttavia, in attesa di studi dettagliati, anche il piano di riordinamento del centro, predisposto dall’ingegnere dell’Ufficio d’Arte Luigi Del sarto nel 1866, ad integrazione di quello di ampliamento (1865) redato dal Poggi (ma pur sempre dettato dall’Amministrazione comunale) si limita a precisare le direttive da seguire per ‘liberare’ e ‘riordinare’ l’antico nucleo cittadino. Alla base, una <<retorica tendenziosa>> ormai corrente che, dietro ad un’effettiva condizione di degrado da risanare, cela la volontà di corrispondere alle aspettative dell’ideologia borghese, assecondandone le pressanti richieste speculative e di legittimazione, malgrado la forte reazione oppostale dal mondo intellettuale (non solo fiorentino) e da quello dell’arte, i cui echi si riversano sulle riviste e sui quotidiani.
La strategia di trasferire il Mercato Vecchio nei Camaldoli di San Lorenzo è volta a promuovere il ‘risanamento’ anche di quel settore cittadino ‘popolare’, per rivalutarne economicamente le proprietà immobiliari, favorite dalla centralità urbana e dalla vicinanza strategica della stazione ferroviaria. Per quanto riguarda le altre due realtà periferiche: nel caso di Sant’Ambrogio il mercato andrà ad occupare gli orti espropriati al monastero di Santa Verdiana, mentre a San Frediano andrà a ‘sostituirsi’ ad un grande giardino privato, parimenti espropriato (prossimo alla omonima Porta); da qui, le demolizioni degli immobili di quelle aree rispondono unicamente allo scopo di aprire nuove strade o di rettificare quelle esistenti per favorire gli accessi alle due moderne strutture di servizio. Sul trasferimento del Mercato Centrale si discuterà a lungo, fino a quando il Mengoni, invitato inizialmente per esaminare il progetto presentato dalla ditta inglese di Alexander e John Skwarcow (1867), non riceverà l’incarico di redigere lui stesso una proposta progettuale (1868), che sarà approntata tra ottobre e novembre 1869, e approvata definitivamente nel febbraio 1870.
[…]. Ciò che qui preme sottolineare è la novità dirompente introdotta a Firenze dal Mercato Centrale.  […] Il progetto di Mengoni non solo interviene sulla città con un disegno che in pianta si sovrappone brutalmente al tessuto edilizio preesistente, ma anche in alzato il vocabolario che usa per dialogare con l’intorno è inedito: a Firenze, in effetti, se si escludono i ponti sospesi dei fratelli Seguin (1836-1837), non si è mai utilizzato il ferro con tale sistematicità e profusione, riservandone l’uso per abbellire e rendere più comode le residenze della Corte, oppure per elementi di decoro urbano o di arredo nelle abitazioni della borghesia. […] Per la realizzazione dell’opera di Mengoni si sarebbe provveduto mediante un prestito contratto dal Comune fiorentino con la Cassa di Risparmio di Firenze per 2.500.000 lire. […]
E’ dunque il principio dell’ambientazione a suggerire l’adozione del bugnato rustico toscano in arenaria grigia nel basamento-rivestimento della gabbia metallica del Nuovo Mercato di San Lorenzo, mentre l’impiego del ferro consente la copertura di uno spazio espositivo così vasto, e il suo abbinamento al vetro favorisce l’illuminazione e l’areazione degli ambienti. […]”

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