Il problema dei rifiuti nella Firenze medievale
(fonte: Antiche Dogane), testo di Roberto Di Ferdinando
Dalle cronache del periodo abbiamo ormai una descrizione delle cattive condizioni igienico-sanitarie in cui versavano le strade delle città e dei borghi nel Medioevo. Spesso rifiuti ed escrementi erano gettati direttamente per le strade senza alcuna accortezza igienica e di decoro. Eppure già allora si era consapevoli che il mancato o non corretto smaltimento dei rifiuti umani ed animali erano concause di pestilenze e di danni ambientali. Nella Toscana del Duecento, ad esempio, esistevano regolamenti comunali che indicavano specifici divieti e norme comportamentali in materia igienico-sanitaria, ma un approccio più deciso e di prevenzione sul tema dei rifiuti si ebbe solo nel Cinquecento. Nel 1527 gli Uffici Sanitari di Firenze, istituiti per affrontare le emergenze delle epidemie, furono trasformati in entità permanenti e nel secolo successivo la Magistratura sanitaria avviò vari studi e ricerche sul territorio comunale in materia di igiene con fini di prevenzione, emettendo ordinanze per tenere ogni borgata “netta e pulita da ogni sorta di bruttura”. Nel 1622 tale Magistratura stabilì che: “tutte le immondezze et spurcitie fussero fatte portar via fuori delle città, terre et castelli del dominio et che nelle case si stesse con quella maggior pulitezza possibile et che sendovi pozzi neri ripieni si faccian votare […] et si avesse cura intorno alle fogne et acque stagnanti che non stessero rinchiuse.”
Il grosso problema sanitario di quel periodo era lo smaltimento dei rifiuti umani e degli escrementi animali utilizzati nelle attività di trasporto (cavalli, muli e asini). Il letame per le strade non era raccolto, ma solo accantonato ai lati delle vie di comunicazione. E qui era raccolto dalle persone più povere che lo rivendevano come fertilizzante. Ma spesso, prima di essere venduto il letame raccolto era accumulato nelle case di queste povere persone, e ad aggravare le condizioni igieniche, oltre che l’inquinamento di alcuni quartieri delle città o dei borghi, c’era il fatto che in molte case gli umani condividevano gli stessi spazi abitativi con alcuni animali: cavalli, muli, asini, ed anche maiali.
Nel 1778 a Firenze un’altra più ferma legislazione in materia sanitaria stabiliva che “le stanze mortuarie, le sepolture, i cani ed altre bestie arrabbiate, i vittuali infetti, licenze per pozzi neri, spurgo dei tisici, fabbriche e manifatture che producono esalazioni nocive, […]” fossero di competenza investigativa e legislativa dei Giusdicenti, cioè degli specifici giudici in materia sanitaria che operavano anche nei borghi limitrofi alla città compilando settimanalmente dei rapporti minuziosi in materia. In presenza di malattie epidemiche negli uomini o negli animali, queste autorità avevano l’obbligo di farne comunicazione immediata al Governo fiorentino.
RDF
Dalle cronache del periodo abbiamo ormai una descrizione delle cattive condizioni igienico-sanitarie in cui versavano le strade delle città e dei borghi nel Medioevo. Spesso rifiuti ed escrementi erano gettati direttamente per le strade senza alcuna accortezza igienica e di decoro. Eppure già allora si era consapevoli che il mancato o non corretto smaltimento dei rifiuti umani ed animali erano concause di pestilenze e di danni ambientali. Nella Toscana del Duecento, ad esempio, esistevano regolamenti comunali che indicavano specifici divieti e norme comportamentali in materia igienico-sanitaria, ma un approccio più deciso e di prevenzione sul tema dei rifiuti si ebbe solo nel Cinquecento. Nel 1527 gli Uffici Sanitari di Firenze, istituiti per affrontare le emergenze delle epidemie, furono trasformati in entità permanenti e nel secolo successivo la Magistratura sanitaria avviò vari studi e ricerche sul territorio comunale in materia di igiene con fini di prevenzione, emettendo ordinanze per tenere ogni borgata “netta e pulita da ogni sorta di bruttura”. Nel 1622 tale Magistratura stabilì che: “tutte le immondezze et spurcitie fussero fatte portar via fuori delle città, terre et castelli del dominio et che nelle case si stesse con quella maggior pulitezza possibile et che sendovi pozzi neri ripieni si faccian votare […] et si avesse cura intorno alle fogne et acque stagnanti che non stessero rinchiuse.”
Il grosso problema sanitario di quel periodo era lo smaltimento dei rifiuti umani e degli escrementi animali utilizzati nelle attività di trasporto (cavalli, muli e asini). Il letame per le strade non era raccolto, ma solo accantonato ai lati delle vie di comunicazione. E qui era raccolto dalle persone più povere che lo rivendevano come fertilizzante. Ma spesso, prima di essere venduto il letame raccolto era accumulato nelle case di queste povere persone, e ad aggravare le condizioni igieniche, oltre che l’inquinamento di alcuni quartieri delle città o dei borghi, c’era il fatto che in molte case gli umani condividevano gli stessi spazi abitativi con alcuni animali: cavalli, muli, asini, ed anche maiali.
Nel 1778 a Firenze un’altra più ferma legislazione in materia sanitaria stabiliva che “le stanze mortuarie, le sepolture, i cani ed altre bestie arrabbiate, i vittuali infetti, licenze per pozzi neri, spurgo dei tisici, fabbriche e manifatture che producono esalazioni nocive, […]” fossero di competenza investigativa e legislativa dei Giusdicenti, cioè degli specifici giudici in materia sanitaria che operavano anche nei borghi limitrofi alla città compilando settimanalmente dei rapporti minuziosi in materia. In presenza di malattie epidemiche negli uomini o negli animali, queste autorità avevano l’obbligo di farne comunicazione immediata al Governo fiorentino.
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