Il cancello de "Le Sorelle Materassi"?
A metà di via D’Annunzio, appena dopo lo slargo su cui si immette via Benedetto da Maiano, sulla destra, uscendo dalla città, si può notare un ingresso con due colonne, sopra queste due colonne due leoni in terracotta.
Che questo ingresso sia lo stesso descritto da Aldo Palazzeschi ne “Le Sorelle Materassi”? La questione non è certa, ma la descrizione dei luoghi, da parte di Palazzeschi che di seguito riporto, tratta da un’edizione del 1934, sembrerebbe che questo luogo abbia fortemente ispirato l’autore fiorentino:
“[…] Santa Maria a Coverciano non è nemmeno un paesello ma un popolo, e per popolo si intende quel nucleo non costituito di per sé in ente civile ma tenuto in unione spirituale da una parrocchia. A rigore si potrebbe formularvi una larva di paese; una specie di piazza a sghembo si forma un crocicchio di strade dov’è un convento di francescane cinto da mura altissime che mostrano nell’angolo sotto un tettino rustico, l’effige di San Francesco scolpita, nel marmo [...] poi c’è una villa sempre chiusa, cinta da un muro rotondo, molto arretrata e circondata da grandi piante, che sta, come una vecchia mamma in poltrona, con la sottana ampissima e la scuffia. E davanti, quasi sulla strada, un villino moderno, civettuolo, sfacciato, che guarda, come la nuora petulante e dispettosa, la suocera austera e brontolona e le fa schizzare, come dita negli occhi, le rose da un cancelletto bianco atto, più che a nasconderlo a metterlo in vista. [...] La strada maestra che attraversa queste costruzioni formandoci il largo descritto, conduce da Firenze al Ponte a Mensola e a Settignano, e si chiama la via Settignanese; e l’altra più piccola, che scende tra la villa il convento delle francescane, porta invece a Majano, alle sue cave e alle sue ville magnifiche. [...] E ora che vi ho alla meglio descritto il circostante paesaggio, incomincerò annotare con voi quali siano le cose che colpiscono a prima vista la nostra curiosità osservando quella assieme di case che si chiama Santa Maria a Coverciano. Oltre al passaggio di troppe cose che lo riguardano a volo, e meglio sarebbe dire che mai lo riguardano e nello spirito di cui già abbiamo discusso, e che noi non riguardano per nessun conto ferma la nostra attenzione è una cosa che lo riguarda davvero da vicino, anzi nel cuore, ed è il sostare frequente di automobili signorili al cancello sempre aperto a metà della casa già accennata e destinata ad assorbire tutte le nostre mire. [...] E avviene altresì, che fermandosi a colpo nei pressi della casa una di queste macchine, la dama o il conducente chiedano a una donnetta o ad un fanciullo che si trova nel mezzo della via un’informazione, sempre la stessa: “le sorelle Materassi? Sa dirmi? Dove sono? Dove stanno?“. E non ne hanno pronunziato il nome che tutte le mani si allungano senza esitare, indicando decise il cancello bianco mangiata dalla ruggine, sempre aperto a metà, e su cui pilastri seggono due leoni di terracotta che superano in dimestichezza tutti gli animali da cortile. E, e sembrano piuttosto due vecchie in conversazione estiva crepuscolare, con le bocche devastate semi aperte per l’afa il respiro greve. […].”
Dopo tutto questo luogo era già legato alla storia della letteratura, infatti, sul muro dell’abitazione adiacente al cancello, una targa ricorda che in quegli ambienti, che furono già di un convento di francescane, una volta trasformati in civili abitazioni, ospitarono Leigh Hunt e Charles Armitage Brown, poeti inglesi che soggiornarono a Firenze tra il 1823 ed il 1825.
(Foto e testo di Roberto Di Ferdinando)
Che questo ingresso sia lo stesso descritto da Aldo Palazzeschi ne “Le Sorelle Materassi”? La questione non è certa, ma la descrizione dei luoghi, da parte di Palazzeschi che di seguito riporto, tratta da un’edizione del 1934, sembrerebbe che questo luogo abbia fortemente ispirato l’autore fiorentino:
“[…] Santa Maria a Coverciano non è nemmeno un paesello ma un popolo, e per popolo si intende quel nucleo non costituito di per sé in ente civile ma tenuto in unione spirituale da una parrocchia. A rigore si potrebbe formularvi una larva di paese; una specie di piazza a sghembo si forma un crocicchio di strade dov’è un convento di francescane cinto da mura altissime che mostrano nell’angolo sotto un tettino rustico, l’effige di San Francesco scolpita, nel marmo [...] poi c’è una villa sempre chiusa, cinta da un muro rotondo, molto arretrata e circondata da grandi piante, che sta, come una vecchia mamma in poltrona, con la sottana ampissima e la scuffia. E davanti, quasi sulla strada, un villino moderno, civettuolo, sfacciato, che guarda, come la nuora petulante e dispettosa, la suocera austera e brontolona e le fa schizzare, come dita negli occhi, le rose da un cancelletto bianco atto, più che a nasconderlo a metterlo in vista. [...] La strada maestra che attraversa queste costruzioni formandoci il largo descritto, conduce da Firenze al Ponte a Mensola e a Settignano, e si chiama la via Settignanese; e l’altra più piccola, che scende tra la villa il convento delle francescane, porta invece a Majano, alle sue cave e alle sue ville magnifiche. [...] E ora che vi ho alla meglio descritto il circostante paesaggio, incomincerò annotare con voi quali siano le cose che colpiscono a prima vista la nostra curiosità osservando quella assieme di case che si chiama Santa Maria a Coverciano. Oltre al passaggio di troppe cose che lo riguardano a volo, e meglio sarebbe dire che mai lo riguardano e nello spirito di cui già abbiamo discusso, e che noi non riguardano per nessun conto ferma la nostra attenzione è una cosa che lo riguarda davvero da vicino, anzi nel cuore, ed è il sostare frequente di automobili signorili al cancello sempre aperto a metà della casa già accennata e destinata ad assorbire tutte le nostre mire. [...] E avviene altresì, che fermandosi a colpo nei pressi della casa una di queste macchine, la dama o il conducente chiedano a una donnetta o ad un fanciullo che si trova nel mezzo della via un’informazione, sempre la stessa: “le sorelle Materassi? Sa dirmi? Dove sono? Dove stanno?“. E non ne hanno pronunziato il nome che tutte le mani si allungano senza esitare, indicando decise il cancello bianco mangiata dalla ruggine, sempre aperto a metà, e su cui pilastri seggono due leoni di terracotta che superano in dimestichezza tutti gli animali da cortile. E, e sembrano piuttosto due vecchie in conversazione estiva crepuscolare, con le bocche devastate semi aperte per l’afa il respiro greve. […].”
Dopo tutto questo luogo era già legato alla storia della letteratura, infatti, sul muro dell’abitazione adiacente al cancello, una targa ricorda che in quegli ambienti, che furono già di un convento di francescane, una volta trasformati in civili abitazioni, ospitarono Leigh Hunt e Charles Armitage Brown, poeti inglesi che soggiornarono a Firenze tra il 1823 ed il 1825.
(Foto e testo di Roberto Di Ferdinando)
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