Il movimento vegetariano nacque a Firenze

testo di Roberto Di Ferdinando (fonte: Corriere della Sera del 19 novembre 2016)

Il movimento italiano vegetariano  nacque a Firenze, la patria della bistecca fiorentina, ad inizio Novecento. L’associazione di naturisti, così si chiamavano i pionieri di questa nuova avventura non solo alimentare, sorse da una precisa esigenza: migliorare il proprio stile di vita. Infatti,  il nuovo secolo aveva portato sì conquiste scientifiche, ma anche un selvaggia industrializzazione con già un inizio di inquinamento, un nuovo e frenetico vivere quotidiano oltre che ancora conflitti e nuove povertà. Dalla Francia iniziarono ad arrivare indicazioni mediche su nuovi modelli di vita, più sani, con al centro la cura del proprio corpo, che prevedeva anche l’astenersi dal mangiare la carne (una dieta molto vicina a quella che, per secoli , è stata assunta nelle nostre campagne) . Così, a Firenze, nel 1905, fu fondata la prima Società Vegetariana d’Italia, con sede in via Toscanelli, numero 6, e tra i suoi membri vi erano nobili, docenti e militari, e consistente era la presenza di stranieri, in particolare di tedeschi, francesi ed inglesi, nei cui paesi d’origine la dieta vegetariana si era già diffusa. Presidente dell’associazione era il dottor Giorgio Buti, con studi in Germania, che così descrivere cosa significava essere vegetariani, non solo riferendosi ad una scelta alimentare: “Quell’insieme di pratiche igieniche le quali hanno per iscopo di rendere l’uomo sano e robusto per mezzo di un genere di vita conforme alle leggi della natura, per mezzo dell’aria pura, della luce, dell’acqua, dell’esercizio e dell’alimentazione nazionale”. L’associazione organizzò pranzi e cene a base vegetariana nei principali ristoranti cittadini, oltre a varie conferenze sul tema salutista. Dopo poco più di anno, la Società chiuse la sua attività a Firenze, per trasferirsi a Milano, dove, nel 1907, in via Dante 18, nacque il primo ristorante vegetariano in Italia. All’inaugurazione furono serviti antipasti alla russa, con pomodori scottati e maionese, zuppa Dubarry, a base di cavolfiore, sformato di spinaci, soufflé di funghi con cardi alla parmigiana, ‘costolette’ di legumi e tartufo, pasticcini di pesche con crema chantilly e frutta mista.
La scelta naturista: vestire abiti con tessuti vegetali, cura del corpo con attività all’aperto, spesso a torso nudo anche con temperature rigide, e scelta salutista fu sposata anche dal nascente regime fascista, e questo fece associare i vegetariani a dei ferventi fascisti e, così, spesso messi ai margini o guardati con sospetto dalla cittadinanza. Inoltre, con le restrizioni della guerra, Mussolini favorì la dieta mediterranea, escludendo la carne ormai introvabile per la popolazione.
La storia delle avanguardie vegetariane italiane è raccontata nel libro “Vegetit” di Alberto Capatti, Cincquesensi editore, recentemente uscito in vendita.
RDF

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