Il Nuovo Palazzo di Giustizia doveva essere un po’ diverso
(testo di Roberto Di Ferdinando)
E’ ormai definito il più brutto edificio in Firenze, parlo del Nuovo Palazzo di Giustizia di Novoli (http://curiositadifirenze.blogspot.it/2012/07/il-nuovo-palazzo-di-giustizia-e-tra-i.html), eppure ogni volta che ci passo vicino penso all’architetto che lo ha progettato e solidarizzo un po’ con lui quasi a volerlo sostenere dinanzi a tutti questi giudizi pesanti, troppi per una sola persona. Non lo so perché, ma mi viene spontaneo. L’architetto è Leonardo Ricci (Roma, 1918 – Venezia, 1994), allievo ed assistente di Giovanni Michelucci, e Ricci muore prima ancora di vedere la sua contestata opera iniziata (i lavori iniziarono nel 2008). Nei giorni scorsi mio padre, architetto, mi ritaglia alcune pagine della rivista “Opere”, dell’ordine degli architetti di Firenze, sono di un articolo dal titolo “Palazzo di Giustizia” a cura di Eugenio Pandolfini, in cui si descrive la tribolata storia della realizzazione di questo edificio e che Ricci immaginava diversamente dove questo imponente palazzo sarebbe dovuto sorgere. Riporto qui alcuni passaggi di quest’articolo: “Il primo piano generale, firmato dal paesaggista americano Lawrence Halprin, prevedeva un parco circolare al centro come fulcro di tutto l’intervento, circondato da edifici firmati da alcuni dei più affermati progettisti di quegli anni. In questa fase, il Palazzo di Giustizia, inteso da Ricci come macchina complessa, si relazionava al nuovo tessuto urbano attraverso una piazza circolare, interfacciandosi attraverso di questa al parco in maniera molto dinamica, e mediante un percorso che, attraversando tutta l’area, lambiva la facciata nord dell’edificio”. In fase di progettazione Ricci scriveva: “vi sono tante anime e funzioni in un palazzo di giustizia: progettarlo significa progettare una macchina estremamente complessa, fatta di parti, ognuna delle quali dotata di una specifica funzionalità e identità, ma al tempo stesso deve costituire un tutto unico con le altre.” Ricci aveva quindi previsto uno spazio ampio davanti al palazzo (una grande piazza) che proiettasse all’interno la vita quotidiana dell’esterno. Sempre dall’articolo di Pandolfini: “Non stupisca il fatto che il piano particolareggiato redatto in seguito da Ricci prevedesse, contrariamente all’impostazione di Halprin, una generale frammentazione: dividendo il grande parco unitario in parti più piccole Ricci intendeva assicurare una migliore relazione tra gli spazi verdi e l’edificato, una comprenetazione più capillare tra le parti del suo palazzo di giustizia ed il nuovo tessuto urbano”. “con il piano regolatore del 1992, Leon Krier viene incaricato del nuovo piano guida: l’architetto luseemburghese divide in tre part l’ambito d’intervento, il parco rimane al centro dell’area di riqualificazione mentre gli edifici vengono raggruppati nelle due fasce laterali, caratterizzate da lotti irregolari, innervati da un tessuto molto serrato di strade con piccoli slarghi.” Quindi dell’idea di Halprin e Ricci cioè un grande parco verde che fa da unione ai vari edifici viene meno. Il risultato è un piccolo giardino di quartiere soffocato dalle strutture circostanti. Ancora Pandolfini: “Il progetto di Ricci, nella definizione sviluppata dagli uffici tecnici del comune di Firenze, accusa in maniera sensibile la mutata condizione al contorno. Il Palazzo di Giustizia resta nella posizione prevista fin dall’inizio, ma risulta completamente slegato dal resto dell’intervento e isolato dal tessuto urbano. Se da un lato l’orientamento dell’edificio, diagonale rispetto al lotto, non ha più alcun senso rispetto al nuovo assetto dell’area (tale orientamento trovava le sue motivazioni nell’allineamento con l’asse trasversale che nel progetto di Halprin costituiva la spina dorsale di tutto l’intervento), da un altro la tripartizione del lotto, che tradisce la centralità del verde come elemento relazionale, isola ulteriormente il progetto.” “Il progetto nasce per definire l’immagine di un nuovo pezzo di città e di una visione poetica della giustizia, e questa definizione passa immancabilmente dal concepire il Palazzo come un sistema relazionato alla città, alle persone, alla vita […], e non come oggetto isolato.” “Il tradimento nei confronti del progetto di Ricci è completo: la grande piazza […] non è mai stata realizzata, anzi: il Palazzo di Giustizia appare oggi come un gigante in gabbia, stretto intorno alla recinzione che lo divide ulteriormente dalla città”.
RDF
E’ ormai definito il più brutto edificio in Firenze, parlo del Nuovo Palazzo di Giustizia di Novoli (http://curiositadifirenze.blogspot.it/2012/07/il-nuovo-palazzo-di-giustizia-e-tra-i.html), eppure ogni volta che ci passo vicino penso all’architetto che lo ha progettato e solidarizzo un po’ con lui quasi a volerlo sostenere dinanzi a tutti questi giudizi pesanti, troppi per una sola persona. Non lo so perché, ma mi viene spontaneo. L’architetto è Leonardo Ricci (Roma, 1918 – Venezia, 1994), allievo ed assistente di Giovanni Michelucci, e Ricci muore prima ancora di vedere la sua contestata opera iniziata (i lavori iniziarono nel 2008). Nei giorni scorsi mio padre, architetto, mi ritaglia alcune pagine della rivista “Opere”, dell’ordine degli architetti di Firenze, sono di un articolo dal titolo “Palazzo di Giustizia” a cura di Eugenio Pandolfini, in cui si descrive la tribolata storia della realizzazione di questo edificio e che Ricci immaginava diversamente dove questo imponente palazzo sarebbe dovuto sorgere. Riporto qui alcuni passaggi di quest’articolo: “Il primo piano generale, firmato dal paesaggista americano Lawrence Halprin, prevedeva un parco circolare al centro come fulcro di tutto l’intervento, circondato da edifici firmati da alcuni dei più affermati progettisti di quegli anni. In questa fase, il Palazzo di Giustizia, inteso da Ricci come macchina complessa, si relazionava al nuovo tessuto urbano attraverso una piazza circolare, interfacciandosi attraverso di questa al parco in maniera molto dinamica, e mediante un percorso che, attraversando tutta l’area, lambiva la facciata nord dell’edificio”. In fase di progettazione Ricci scriveva: “vi sono tante anime e funzioni in un palazzo di giustizia: progettarlo significa progettare una macchina estremamente complessa, fatta di parti, ognuna delle quali dotata di una specifica funzionalità e identità, ma al tempo stesso deve costituire un tutto unico con le altre.” Ricci aveva quindi previsto uno spazio ampio davanti al palazzo (una grande piazza) che proiettasse all’interno la vita quotidiana dell’esterno. Sempre dall’articolo di Pandolfini: “Non stupisca il fatto che il piano particolareggiato redatto in seguito da Ricci prevedesse, contrariamente all’impostazione di Halprin, una generale frammentazione: dividendo il grande parco unitario in parti più piccole Ricci intendeva assicurare una migliore relazione tra gli spazi verdi e l’edificato, una comprenetazione più capillare tra le parti del suo palazzo di giustizia ed il nuovo tessuto urbano”. “con il piano regolatore del 1992, Leon Krier viene incaricato del nuovo piano guida: l’architetto luseemburghese divide in tre part l’ambito d’intervento, il parco rimane al centro dell’area di riqualificazione mentre gli edifici vengono raggruppati nelle due fasce laterali, caratterizzate da lotti irregolari, innervati da un tessuto molto serrato di strade con piccoli slarghi.” Quindi dell’idea di Halprin e Ricci cioè un grande parco verde che fa da unione ai vari edifici viene meno. Il risultato è un piccolo giardino di quartiere soffocato dalle strutture circostanti. Ancora Pandolfini: “Il progetto di Ricci, nella definizione sviluppata dagli uffici tecnici del comune di Firenze, accusa in maniera sensibile la mutata condizione al contorno. Il Palazzo di Giustizia resta nella posizione prevista fin dall’inizio, ma risulta completamente slegato dal resto dell’intervento e isolato dal tessuto urbano. Se da un lato l’orientamento dell’edificio, diagonale rispetto al lotto, non ha più alcun senso rispetto al nuovo assetto dell’area (tale orientamento trovava le sue motivazioni nell’allineamento con l’asse trasversale che nel progetto di Halprin costituiva la spina dorsale di tutto l’intervento), da un altro la tripartizione del lotto, che tradisce la centralità del verde come elemento relazionale, isola ulteriormente il progetto.” “Il progetto nasce per definire l’immagine di un nuovo pezzo di città e di una visione poetica della giustizia, e questa definizione passa immancabilmente dal concepire il Palazzo come un sistema relazionato alla città, alle persone, alla vita […], e non come oggetto isolato.” “Il tradimento nei confronti del progetto di Ricci è completo: la grande piazza […] non è mai stata realizzata, anzi: il Palazzo di Giustizia appare oggi come un gigante in gabbia, stretto intorno alla recinzione che lo divide ulteriormente dalla città”.
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