Modi di dire: tagliare i ponti
“Tagliare i ponti è la frase pronunciata quando si vuol troncare ogni rapporto, interrompere bruscamente contatti o relazioni con qualcuno, in modo così netto da non lasciare alcuna possibilità di ritornare sulle decisioni prese o di tentare una qualsiasi riconciliazione.
Il drastico concetto proverbiale trae origine addirittura dal Medioevo quando alcune famiglie benestanti, che abitavano nelle case torri, per collegarsi fra loro costruivano ponteggi aerei in legno sostenuti da travi introdotte nelle apposite buche pontaie, aperte sulle possenti pareti in filaretti di pietra delle loro dimore.
Firenze nel 1200 faceva sfoggio di ben 150 torri alte da 50 a 70 metri, in massima parte concentrate nella zona di Mercato Vecchio. Nella compatta struttura della cerchia muraria, attraversata da strade strette e tortuose, le case torri in principio non erano vere e proprie abitazioni ma, per quella loro individualità tipologica e varietà di altezza, venivano considerate preziosi e sicuri luoghi di rifugio assimilabili a vere e proprie fortezze.
Originariamente infatti, la torre nasceva per uno specifico uso militare ed avendo tutti i caratteri del fortilizio, era un luogo dove il signore, all’occorrenza, poteva mettersi al sicuro durante le lotte civili fra le varie fazioni antagoniste.
Queste costruzioni, occupando poco spazio alla base ma molto nel suo insieme, in quanto proiettate in altezza, erano anche il segno (unitamente alle logge) di potenza e prestigio delle famiglie che le possedevano; addirittura la loro altezza era considerata proporzionale al livello politico-sociale dei loro facoltosi proprietari.
Per difendersi dal vicino nemico nelle lotte intestine, si diffuse una forma di associazione fra i signori della città detta Società delle Torri, per cui la stessa torre apparteneva ad una consorteria composta da diverse famiglie di “altissima potenza” le quali, in caso di necessità, si asserragliavano dentro gli slanciati fortilizi.
Si potevano quindi sfruttare come appoggio le buche pontaie esistenti nelle spesse mura, realizzando dei veri e propri ponteggi in legno attraverso i quali, scavalcando costruzioni, vicoli e piazzette sottostanti, si otteneva un rapido e diretto collegamento fra le torri amiche.
Allorché l’amicizia fra due o più famiglie cessava, si “tagliavano i ponti” per evitare incursioni da parte di un nuovo probabile nemico, rendendo così ben visibile la definitiva interruzione dei rapporti.
Terminate le lotte interne fra Guelfi e Ghibellini, con l’affermazione della Parte Guelfa su quella Ghibellina, venne deciso di “squadrare” tutte le torri, ossia abbassarle quel tanto che nessuna dovesse superare l’altezza di quella di Palazzo Vecchio che rappresentava l’autorità massima della Comunità. Si verificò così un’evoluzione delle tipologie residenziali perché la torre, perdendo la sua funzione di manufatto bellico, si trasformò in una vera e propria casa. […]”
(Tratto da “Tagliare i ponti” articolo di Luciano e Ricciardo Artusi, pubblicato su Il Reporter di ottobre 2019)
Il drastico concetto proverbiale trae origine addirittura dal Medioevo quando alcune famiglie benestanti, che abitavano nelle case torri, per collegarsi fra loro costruivano ponteggi aerei in legno sostenuti da travi introdotte nelle apposite buche pontaie, aperte sulle possenti pareti in filaretti di pietra delle loro dimore.
Firenze nel 1200 faceva sfoggio di ben 150 torri alte da 50 a 70 metri, in massima parte concentrate nella zona di Mercato Vecchio. Nella compatta struttura della cerchia muraria, attraversata da strade strette e tortuose, le case torri in principio non erano vere e proprie abitazioni ma, per quella loro individualità tipologica e varietà di altezza, venivano considerate preziosi e sicuri luoghi di rifugio assimilabili a vere e proprie fortezze.
Originariamente infatti, la torre nasceva per uno specifico uso militare ed avendo tutti i caratteri del fortilizio, era un luogo dove il signore, all’occorrenza, poteva mettersi al sicuro durante le lotte civili fra le varie fazioni antagoniste.
Queste costruzioni, occupando poco spazio alla base ma molto nel suo insieme, in quanto proiettate in altezza, erano anche il segno (unitamente alle logge) di potenza e prestigio delle famiglie che le possedevano; addirittura la loro altezza era considerata proporzionale al livello politico-sociale dei loro facoltosi proprietari.
Per difendersi dal vicino nemico nelle lotte intestine, si diffuse una forma di associazione fra i signori della città detta Società delle Torri, per cui la stessa torre apparteneva ad una consorteria composta da diverse famiglie di “altissima potenza” le quali, in caso di necessità, si asserragliavano dentro gli slanciati fortilizi.
Si potevano quindi sfruttare come appoggio le buche pontaie esistenti nelle spesse mura, realizzando dei veri e propri ponteggi in legno attraverso i quali, scavalcando costruzioni, vicoli e piazzette sottostanti, si otteneva un rapido e diretto collegamento fra le torri amiche.
Allorché l’amicizia fra due o più famiglie cessava, si “tagliavano i ponti” per evitare incursioni da parte di un nuovo probabile nemico, rendendo così ben visibile la definitiva interruzione dei rapporti.
Terminate le lotte interne fra Guelfi e Ghibellini, con l’affermazione della Parte Guelfa su quella Ghibellina, venne deciso di “squadrare” tutte le torri, ossia abbassarle quel tanto che nessuna dovesse superare l’altezza di quella di Palazzo Vecchio che rappresentava l’autorità massima della Comunità. Si verificò così un’evoluzione delle tipologie residenziali perché la torre, perdendo la sua funzione di manufatto bellico, si trasformò in una vera e propria casa. […]”
(Tratto da “Tagliare i ponti” articolo di Luciano e Ricciardo Artusi, pubblicato su Il Reporter di ottobre 2019)
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