Il gioco del pallone...preso a pugni
Il gioco del pallone...preso a pugni
(Fonte: "Storia & Storie di Toscana") Testo di Roberto Di Ferdinando
Si chiama gioco del pallone toscano, ma non si gioca (o meglio non si giocava, dato che ormai si è persa la tradizione di praticarlo) con i piedi bensì con le braccia, infatti è detto anche gioco del "pallone col bracciale". Come suggerisce il nome, questo gioco nacque in Toscana, per la precisione a Firenze, nel Seicento, come variante popolare del nobile gioco della pallacorda.
Era (ormai) un gioco in cui si confrontavano due squadre, una di fronte all'altra, composte da tre giocatori ciascuna. I giocatori della stessa squadra si riconoscevano dalle fusciacche di seta colorate ed indossate in vita. Le squadre si ribattevano una palla formata di otto spicchi di pelle di manzo conciata, dal diametro di 39 centimetri e dal peso di 750 grammi, che era colpita con un bracciale (attrezzo) ricavato da un unico pezzo di legno di noce e dotato di 105 punte. Il bracciale poteva arrivare a pesare anche due chili. Scopo del gioco era conquistare più punti che erano ottenuti se gli avversari non riuscivano a ribattere la palla o la lasciavano cadere a terra. Nella versione toscana la palla poteva essere ribattuta nel campo avversario, utilizzando come sponda un muro d'appoggio. Quindi i campi da gioco toscani (sferisteri) misuravano mediamente 80 metri di lunghezza, 16 di larghezza e su di un lato erano dotati di un muro di ribattuta alto tra i 16 e i 18 metri. A Firenze tale gioco divenne subito molto popolare e la sua pratica diffusa. Gli atleti iniziarono ad essere visti come degli idoli dall'appassionato pubblico fiorentino, tanto da essere retribuiti, dai nobili della città per cui gareggiavano, con stipendi pari a quelli dei moderni calciatori.
Agli inizi storici del gioco i campi da gioco erano improvvisati negli spazi aperti che la Firenze seicentesca concedeva. Ad esempio, in pieno centro tra piazza Strozzi e piazza Santa Trinita, oppure appena fuori Porta a Pinti, dove oggi sorge il cimitero degli Inglesi di piazza Donatello, od ancora fuori porta di San Gallo, tra l'attuale Parterre e la ferrovia delle Cure. La stessa Signoria de' Medici era molto appassionata a questo gioco che seguiva le partite in una tribuna d'onore provvisoria montata tra via del Pairone e ponte Santa Trinita, mentre i proprietari dei palazzi che si affacciavano sulla piazza affittavano a prezzi alti l'accesso alle finestre per il pubblico che voleva assistere alle partite. Inoltre gli stessi Medici si attivarono, su richiesta esplicita degli atleti, perché il fondo del campo di piazza Santa Trinita fosse ripavimentato con mattoni rossi, più adatti al gioco rispetto agli originari lastroni di pietra serena.
Nell'Ottocento, quando il gioco del pallone toscano divenne popolarissimo, la città finalmente si dotò di uno sferisterio, grazie all'iniziativa ed alle risorse del marchese Tolomei Biffi che fece costruire "la Scala" alle Cascine. Tale impianto è ancora oggi visibile, se ormai convertito ad altri usi. Infatti negli anni Trenta del Novecento, questo gioco iniziò a perdere fascino a vantaggio del football, il pallone preso a calci.
RDF
Sono molti i letterati che hanno scritto pagine su questo sport, o descritto le partite a cui alcuni di loro assistettero personalmente proprio a Firenze.
Di seguito alcuni passi sul gioco del pallone toscano di alcuni importanti autori:
"Edmondo De Amicis era “rapito” dalla spettacolarità
del gesto atletico. Giosuè Carducci lo definì “il più classico dei giochi”.
Goethe scrisse i versi: “Gli avversari cercavano di respingerla, e così la palla va da una parte all’altra finché
resta a terra sul campo. Questo gioco dà occasione e degli atteggiamenti Degni d’essere scolpiti nel marmo”.
Giacomo Leopardi dedicò a Didimi, campione di Treia, la canzone “A un vincitore nel pallone”. Manzoni lo
“inserì” nel famoso romanzo “I Promessi Sposi”.
Con l’Avvento della Vulcanizzazione della gomma, si sostituì il pallone di cuoio (300g) col pallone più elastico
e più leggero. Nonostante questo, il gioco col bracciale non è del tutto estinto e continua il suo percorso tra il
Piemonte e le Marche a livello amatoriale ed all’interno di rappresentazioni storiche.
Questo cambiamento indignò l’autore del libro “Cuore” e, nel racconto “Gli Azzurri e i Rossi”, ipotizzò la fine
dell’affascinante gioco portandolo a scrivere:
“Taci profano (non dico a te, caro Orazio). Tu non puoi comprendere quanto noi godiamo coi sensi e con lo
spirito, noi che impugnammo il bracciale nei nostri begli anni, allo spettacolo d’una partita al pallone giocata
da artisti di polso... / ...non sai che le arcate descritte da un pallone battuto e ribattuto alla brava sono per noi
immagine viva e distinta, nella cui varietà infinita vediamo la maestà, la forza, l’eleganza, la grazia come in
linee d’archi di trionfo titanici... / Sì, il gioco è in decadenza... / ...si vanno ora trastullando con la scolaresca
palla di gomma elastica, mandata a pugni e a ceffoni: o miseria!... / ...noi lo seguiremo anche là con gli ultimi
devoti... / ...e se non gli rimarranno più che due paladini, noi saremo quei due”."
(il virgolettato è tratto da: www.fenoglioeditore.it/data/abstracts/corinonazionale.pdf)
(Fonte: "Storia & Storie di Toscana") Testo di Roberto Di Ferdinando
Si chiama gioco del pallone toscano, ma non si gioca (o meglio non si giocava, dato che ormai si è persa la tradizione di praticarlo) con i piedi bensì con le braccia, infatti è detto anche gioco del "pallone col bracciale". Come suggerisce il nome, questo gioco nacque in Toscana, per la precisione a Firenze, nel Seicento, come variante popolare del nobile gioco della pallacorda.
Era (ormai) un gioco in cui si confrontavano due squadre, una di fronte all'altra, composte da tre giocatori ciascuna. I giocatori della stessa squadra si riconoscevano dalle fusciacche di seta colorate ed indossate in vita. Le squadre si ribattevano una palla formata di otto spicchi di pelle di manzo conciata, dal diametro di 39 centimetri e dal peso di 750 grammi, che era colpita con un bracciale (attrezzo) ricavato da un unico pezzo di legno di noce e dotato di 105 punte. Il bracciale poteva arrivare a pesare anche due chili. Scopo del gioco era conquistare più punti che erano ottenuti se gli avversari non riuscivano a ribattere la palla o la lasciavano cadere a terra. Nella versione toscana la palla poteva essere ribattuta nel campo avversario, utilizzando come sponda un muro d'appoggio. Quindi i campi da gioco toscani (sferisteri) misuravano mediamente 80 metri di lunghezza, 16 di larghezza e su di un lato erano dotati di un muro di ribattuta alto tra i 16 e i 18 metri. A Firenze tale gioco divenne subito molto popolare e la sua pratica diffusa. Gli atleti iniziarono ad essere visti come degli idoli dall'appassionato pubblico fiorentino, tanto da essere retribuiti, dai nobili della città per cui gareggiavano, con stipendi pari a quelli dei moderni calciatori.
Immagine tratta da: cronologia.leonardo.it |
Nell'Ottocento, quando il gioco del pallone toscano divenne popolarissimo, la città finalmente si dotò di uno sferisterio, grazie all'iniziativa ed alle risorse del marchese Tolomei Biffi che fece costruire "la Scala" alle Cascine. Tale impianto è ancora oggi visibile, se ormai convertito ad altri usi. Infatti negli anni Trenta del Novecento, questo gioco iniziò a perdere fascino a vantaggio del football, il pallone preso a calci.
RDF
Lo sferisterio delle Cascine a fine Ottocento (foto tratta da wikipedia.it) |
Sono molti i letterati che hanno scritto pagine su questo sport, o descritto le partite a cui alcuni di loro assistettero personalmente proprio a Firenze.
Di seguito alcuni passi sul gioco del pallone toscano di alcuni importanti autori:
"Edmondo De Amicis era “rapito” dalla spettacolarità
del gesto atletico. Giosuè Carducci lo definì “il più classico dei giochi”.
Goethe scrisse i versi: “Gli avversari cercavano di respingerla, e così la palla va da una parte all’altra finché
resta a terra sul campo. Questo gioco dà occasione e degli atteggiamenti Degni d’essere scolpiti nel marmo”.
Giacomo Leopardi dedicò a Didimi, campione di Treia, la canzone “A un vincitore nel pallone”. Manzoni lo
“inserì” nel famoso romanzo “I Promessi Sposi”.
Con l’Avvento della Vulcanizzazione della gomma, si sostituì il pallone di cuoio (300g) col pallone più elastico
e più leggero. Nonostante questo, il gioco col bracciale non è del tutto estinto e continua il suo percorso tra il
Piemonte e le Marche a livello amatoriale ed all’interno di rappresentazioni storiche.
Questo cambiamento indignò l’autore del libro “Cuore” e, nel racconto “Gli Azzurri e i Rossi”, ipotizzò la fine
dell’affascinante gioco portandolo a scrivere:
“Taci profano (non dico a te, caro Orazio). Tu non puoi comprendere quanto noi godiamo coi sensi e con lo
spirito, noi che impugnammo il bracciale nei nostri begli anni, allo spettacolo d’una partita al pallone giocata
da artisti di polso... / ...non sai che le arcate descritte da un pallone battuto e ribattuto alla brava sono per noi
immagine viva e distinta, nella cui varietà infinita vediamo la maestà, la forza, l’eleganza, la grazia come in
linee d’archi di trionfo titanici... / Sì, il gioco è in decadenza... / ...si vanno ora trastullando con la scolaresca
palla di gomma elastica, mandata a pugni e a ceffoni: o miseria!... / ...noi lo seguiremo anche là con gli ultimi
devoti... / ...e se non gli rimarranno più che due paladini, noi saremo quei due”."
(il virgolettato è tratto da: www.fenoglioeditore.it/data/abstracts/corinonazionale.pdf)
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