I vinattieri e le bettole a Firenze
Testo di Roberto Di Ferdinando
Secondo il dizionario etimologico “Zanichelli” il termine “bettola” significa “osteria di basso livello” (“Io intendo d’un’osteria, o più tosto taverna, anzi bettola di Firenze” scriveva Benedetto Varchi nel 1565). L’origine di tale vocabolo, per ammissione dello stesso autorevole dizionario, è discussa: scarsamente credibile la derivazione dal latino “bibita” (bevanda), invece, più attendibile la connessione con il termine nord-italico di “baita”, cioè “rifugio”. Ma non c’è certezza. Tanto che alcuni ritengono che il nome bettola derivi da Ciardo di Betto, il più famoso vinattiere del Trecento a Firenze. Ciardo aveva la propria taverna (bettola) in San Lorenzo, all’angolo con via dell’Ariento, ma fu ben presto attratto dalla politica, tanto da partecipare nel 1378 al tumulto dei Ciompi e nel 1380 essere eletto Gonfaloniere, ma nel 1382, con il ritorno della Signoria, il suo “tradimento” fu punito con la decapitazione.
Al di là del destino di Ciardo di Betto, a Firenze, già nei secoli passati le bettole (osterie) erano molto diffuse, tanto che i vinattieri (i gestori dei banchi di mescita del vino) nel 1288 si erano costituiti in una propria Arte Minore, staccandosi dai fornai e albergatori con cui si erano inizialmente associati. La loro sede fu prima nella chiesa di San Martino al Vescovo, nell’omonima piazza, e poi in via Lambertesca (palazzo Bartolommei) ed assunsero come stemma un calice di vino di colore rosso su fondo bianco.
Nel Trecento si contavano circa cento vinattieri (in seguito ne è derivato a Firenze e in Toscana un vero e proprio cognome) concentrati in Oltrarno e nelle zone che oggi si collocano tra il Duomo, piazza della Repubblica, Ponte Vecchio e via Tornabuoni. Queste cantine ebbero un buon successo commerciale in città che non sfuggirono alla tassazione, infatti, sul finire del Trecento la Signoria impose sul vino una tassa, da cui riuscì a trarre i soldi per la costruzione del Palazzo dei Priori (Palazzo Vecchio). Successivamente il Comune municipalizzò il commercio del vino facendo aprire in ogni “sesto” (nel XIV secolo la città fu divisa in sestieri) una cantina.
Il vino servito nelle cantine di Firenze era chiamato vin pretto (vino “schietto” puro, dolce, non annacquato). I fiorentini bevevano in gran parte i vini bianchi toscani, sardi o greci, che erano anche molto ricercati ed in alcuni casi anche costosi, ma diffuso, nelle cantine, era anche l’uso di vini rossi che erano serviti in bicchieri di terracotta (il Trebbiano, la Vernaccia, la Malvasia, nelle case dei nobili erano versati nei bicchieri di vetro o d’argento). Molto apprezzati anche il vino caldo (speziato) o vin cotto (con l’aggiunta di uva cotta).
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Secondo il dizionario etimologico “Zanichelli” il termine “bettola” significa “osteria di basso livello” (“Io intendo d’un’osteria, o più tosto taverna, anzi bettola di Firenze” scriveva Benedetto Varchi nel 1565). L’origine di tale vocabolo, per ammissione dello stesso autorevole dizionario, è discussa: scarsamente credibile la derivazione dal latino “bibita” (bevanda), invece, più attendibile la connessione con il termine nord-italico di “baita”, cioè “rifugio”. Ma non c’è certezza. Tanto che alcuni ritengono che il nome bettola derivi da Ciardo di Betto, il più famoso vinattiere del Trecento a Firenze. Ciardo aveva la propria taverna (bettola) in San Lorenzo, all’angolo con via dell’Ariento, ma fu ben presto attratto dalla politica, tanto da partecipare nel 1378 al tumulto dei Ciompi e nel 1380 essere eletto Gonfaloniere, ma nel 1382, con il ritorno della Signoria, il suo “tradimento” fu punito con la decapitazione.
Al di là del destino di Ciardo di Betto, a Firenze, già nei secoli passati le bettole (osterie) erano molto diffuse, tanto che i vinattieri (i gestori dei banchi di mescita del vino) nel 1288 si erano costituiti in una propria Arte Minore, staccandosi dai fornai e albergatori con cui si erano inizialmente associati. La loro sede fu prima nella chiesa di San Martino al Vescovo, nell’omonima piazza, e poi in via Lambertesca (palazzo Bartolommei) ed assunsero come stemma un calice di vino di colore rosso su fondo bianco.
Nel Trecento si contavano circa cento vinattieri (in seguito ne è derivato a Firenze e in Toscana un vero e proprio cognome) concentrati in Oltrarno e nelle zone che oggi si collocano tra il Duomo, piazza della Repubblica, Ponte Vecchio e via Tornabuoni. Queste cantine ebbero un buon successo commerciale in città che non sfuggirono alla tassazione, infatti, sul finire del Trecento la Signoria impose sul vino una tassa, da cui riuscì a trarre i soldi per la costruzione del Palazzo dei Priori (Palazzo Vecchio). Successivamente il Comune municipalizzò il commercio del vino facendo aprire in ogni “sesto” (nel XIV secolo la città fu divisa in sestieri) una cantina.
Il vino servito nelle cantine di Firenze era chiamato vin pretto (vino “schietto” puro, dolce, non annacquato). I fiorentini bevevano in gran parte i vini bianchi toscani, sardi o greci, che erano anche molto ricercati ed in alcuni casi anche costosi, ma diffuso, nelle cantine, era anche l’uso di vini rossi che erano serviti in bicchieri di terracotta (il Trebbiano, la Vernaccia, la Malvasia, nelle case dei nobili erano versati nei bicchieri di vetro o d’argento). Molto apprezzati anche il vino caldo (speziato) o vin cotto (con l’aggiunta di uva cotta).
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