Gli stabilimenti balneari a Firenze
Testo di Roberto Di Ferdinando
Nelle ultime estati a Firenze, sull’argine dell’Arno dalla parte del quartiere di San Niccolò, è stata allestita una spiaggia attrezzata (Easy Living). C’è chi ha accolto con piacere l’iniziativa dell’amministrazione comunale di fornire a fiorentini uno spazio tipicamente estivo e nel cuore della città, altri, invece, l’hanno giudicata un tentativo maldestro di imitare le spiagge cittadine di Parigi e di altre capitali europee. Comunque, a favore o contrari, i fiorentini hanno a disposizione un luogo dove prendere il sole lungo l’Arno, ma solo il sole, niente tuffi e bagni. Eppure fino a qualche decennio fa, i fiorentini potevano concedersi bagni ristoratori nelle acque dell’Arno anche nel tratto del centro di Firenze. Non solo, esistevano (come dire non si inventa mai niente) anche vari stabilimenti balneari in questo tratto di fiume. Difatti, una delibera comunale del 1913 autorizzava la costruzione di alcuni bagni balneari, sullo stile di quelli versiliani. Ne furono autorizzati cinque: al Pignone per uomini e donne, a Santa Rosa, sempre per uomini e donne, a Piagentina, solo per uomini, a San Niccolò, come oggi, ma allora qui potevano accedervi solo gli uomini, e a Nave al Moro (zona Gavinana), misto. La delibera dettava rigorose regole anche in ambito di igiene, sulla pulizia degli spazi balneari e sui cambi di biancheria. Questi stabilimenti avevano sostituito i bagnetti che fino agli inizi del Novecento si potevano osservare al centro delle acque dell’Arno. Infatti, i bagnetti erano capanni di legno ancorati in mezzo al fiume, dove l’acqua d’estate non superava il metro e mezzo di profondità. I bagnanti raggiungevano in barca i bagnetti, qui, all’interno del capanno si spogliavano, indossavano il costume e facevano il bagno nello specchio d’acqua tra il bagnetto e la riva. In quel periodo molte donne preferivano, per non essere sotto gli occhi delle persone dei vicini bagnetti, immergersi nell’acqua sottostante la struttura direttamente dall’interno del capanno grazie ad una botola posta sul pavimento.
RDF
Nelle ultime estati a Firenze, sull’argine dell’Arno dalla parte del quartiere di San Niccolò, è stata allestita una spiaggia attrezzata (Easy Living). C’è chi ha accolto con piacere l’iniziativa dell’amministrazione comunale di fornire a fiorentini uno spazio tipicamente estivo e nel cuore della città, altri, invece, l’hanno giudicata un tentativo maldestro di imitare le spiagge cittadine di Parigi e di altre capitali europee. Comunque, a favore o contrari, i fiorentini hanno a disposizione un luogo dove prendere il sole lungo l’Arno, ma solo il sole, niente tuffi e bagni. Eppure fino a qualche decennio fa, i fiorentini potevano concedersi bagni ristoratori nelle acque dell’Arno anche nel tratto del centro di Firenze. Non solo, esistevano (come dire non si inventa mai niente) anche vari stabilimenti balneari in questo tratto di fiume. Difatti, una delibera comunale del 1913 autorizzava la costruzione di alcuni bagni balneari, sullo stile di quelli versiliani. Ne furono autorizzati cinque: al Pignone per uomini e donne, a Santa Rosa, sempre per uomini e donne, a Piagentina, solo per uomini, a San Niccolò, come oggi, ma allora qui potevano accedervi solo gli uomini, e a Nave al Moro (zona Gavinana), misto. La delibera dettava rigorose regole anche in ambito di igiene, sulla pulizia degli spazi balneari e sui cambi di biancheria. Questi stabilimenti avevano sostituito i bagnetti che fino agli inizi del Novecento si potevano osservare al centro delle acque dell’Arno. Infatti, i bagnetti erano capanni di legno ancorati in mezzo al fiume, dove l’acqua d’estate non superava il metro e mezzo di profondità. I bagnanti raggiungevano in barca i bagnetti, qui, all’interno del capanno si spogliavano, indossavano il costume e facevano il bagno nello specchio d’acqua tra il bagnetto e la riva. In quel periodo molte donne preferivano, per non essere sotto gli occhi delle persone dei vicini bagnetti, immergersi nell’acqua sottostante la struttura direttamente dall’interno del capanno grazie ad una botola posta sul pavimento.
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