La prima visita di Don Bosco a Firenze

“Torino ormai gli andava stretta, tanto più che essa si stava leccando le piaghe dei tumulti del settembre 1864, con 62 morti e 170 feriti, a seguito della decisione
governativa di trasferire la capitale a Firenze. La città si era impoverita, migliaia di persone l'avevano abbandonata e la lotteria lanciata da don Bosco nell'aprile 1865 per finanziare la costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice stentava a raggiungere la cifra sperata. Al contrario Firenze era in ascesa, con il trasferimento della famiglia reale, dei ministeri e degli uffici amministrativi nazionali. Con 30 mila nuovi arrivi, la città di 120 mila abitanti in pochi anni cambiò decisamente volto.
Che cosa fare di meglio per don Bosco se non recarsi a Firenze presso gli antichi amici piemontesi, addetti ai ministeri da lui più frequentati, quelli dell'interno, della guerra e dei lavori pubblici? In riva all'Arno non si sarebbe trovato a disagio. Il suo nome di grande educatore, di uomo di chiesa, di fecondo scrittore popolare correva su molte bocche fiorentine, soprattutto dell'arcivescovo Gioachino Limberti e dei preti fiorentini che volevano fra l'altro affidargli qualche orfano. Ma anche a molte famiglie nobili era giunta la fama di santo sacerdote.
Non vedevano l'ora di farne la conoscenza, di avvicinarlo, possibilmente di ospitarlo, stando almeno alle loro insistenze una volta giunto in città e alle loro corrispondenze una volta ritornato a Torino.
Firenze si prestava dunque magnificamente ad accrescere il numero degli amici e dei benefattori. Don Bosco già nel settembre 1866 aveva avuto in animo di recarsi a Firenze; la notizia della sua venu-ta, data da qualche sacerdote amico, si era diffusa in città, ma la grave malattia e la morte il 7 ottobre del suo braccio destro, don Vittorio Alasonatti, gli fece ritardare la partenza. Fino a mettersi in viaggio solo I'11 dicembre. Fermatosi brevemente a Pisa, ospite dell'amico card. Corsi - meravigliosa e commoventissima la lettera che scrisse ai suoi ragazzi dalla città della torre pendente - giunse alla capitale la sera del 13 dicembre e sarebbe rimasto fino al 18.
Il solenne ricevimento dei canonici
Non sono molte le notizie sicure sulle cinque giornate trascorse da don Bosco in città, benché le Memorie Biografiche vi dedichino varie pagine, con qualche fantasia di troppo. Ospite i primi due giorni dell'arcivescovo Gioachino Limberti - da don Bosco in relazione da anni a motivo soprattutto delle pubblicazioni di Valdocco -, come primo atto pubblico della sua presenza in città dovrebbe esserci stato un cordialissimo ricevimento dei Canonici del duomo, un loro caloroso indirizzo di saluto e un improvvisato e impegnativo discorsetto di don Bosco. Ancora nel 1991 Antonio Miscio nel suo volume Firenze e
Don Bosco (1848-1888) scriveva "Senza esito le ricerche nell'archivio del Capitolo del Duomo".
Ora se per l'intervento di don Bosco possiamo solo avanzare ipotesi - molto probabilmente avrà parlato dei suoi oratori di Torino, della chiesa di Maria Ausiliatrice in costruzione per la quale era in corso una lotteria, della necessità dell'educazione di giovani poveri ed abbandonati delle città - di certo si è che il ricevimento dei canonici ebbe luogo e che l'accoglienza fu "benevola". Ce lo documenta con sicurezza l'interessante lettera autografa, recentemente ritrovata, indirizzata un mese dopo il suo ritorno a Torino al canonico arcidiacono Filippo Restoni Samuelli.
Don Bosco esordisce quasi scusandosi di non aver subito ottemperato al dovere di ringraziare dell'accoglienza ricevuta: "La benevola accoglienza fatta-mi dal Rever.d.mo Capitolo Fiorentino nella lieta occorrenza in cui passai alcuni giorni in codesta novella capitale produsse in me tali sentimenti di gratitudine, che io andava tuttora aspettando l'opportunità di renderla palese con qualche segno esterno. Ma la nobiltà e la dignità de personaggi, con cui doveva trattare, e la pochezza mia mi mettevano nell'impossibilità di poterlo fare".
Prosegue indicandogli l'omaggio che intende fare a ciascun canonico: "Ho pertanto divisato di fare l'umile offerta di una copia della comunque siasi mia Storia d'Italia [quinta edizione] a ciascuno dei sig. canonici con preghiera di volerla gradire non per merito letterario o scientifico, ma come unico mezzo per dimostrare la mia grande soddisfazione e la cara rimembranza di quella giornata che per me sarà sempre di grata memoria. Ella poi, benemerito sig. Arcidiacono, mi farà un vero favore se, oltre al gradire una copia, si compiacerà di farne tenere una a caduno de signori canonici aggiungendo da parte mia quelle più cordiali espressioni di stima e di affetto che io non valgo ad esprimere, ma che Ella nella conosciuta sua saggezza saprà interpretare e meglio formolare".
Comunica poi a tutti i canonici di aver portato con sé a Torino cinque orfanelli fiorentini per collocarli nel collegio di Mirabello aperto due anni prima.
Uno di loro, un certo Ernesto Saccardi, un piccolo Domenico Savio, morirà non molto dopo. Come sempre con i sacerdoti e grandi benefattori, invita i canonici a visitarlo a Torino: "Apro... questa casa per ogni occorrenza, e che venendo a Torino qualcheduno di loro avrò sempre come tratto di bontà e di favore una loro visita. Insomma contino sopra della mia povera persona in tutto quello che loro potessi prestare qualche servizio".
Il dado era tratto, un manipolo di famiglie gli aveva aperto le porte, le nobildonne si sarebbero organizzate per la raccolta di fondi per la chiesa di Maria Ausiliatrice e le opere di don Bosco.
Da Firenze don Bosco sarebbe transitato e si sarebbe soffermato altre volte, ma solo con molto ritardo, nel 1881 avrebbe aperto la prima casa salesiana in città."
(Tratto da: Francesco Motto, La prima volta a Firenze Capitale, in Bollettino Salesiano, luglio-agosto 2024)
(Nella foto la facciata della chiesa della Sacra Famiglia di via Gioberti, foto tratta da wikipedia.it)

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