L'Accademia Platonica di Lorenzo il Magnifico

foto tratta da: https://www.finestresullarte.info/
“[…] Il cinquantasettenne Marsilio Ficino - che aveva fondato l’Accademia Platonica per desiderio di Cosimo, nonno di Lorenzo - era un ometto smilzo e piccolo di statura; pur soffrendo continuamente dei tipici disturbi degli ipocondriaci, aveva tradotto tutto Platone, era diventato un'enciclopedia vivente delle filosofie antiche esplorando il corpus della sapienza egiziana e aveva divorato le opere di pensatori e mistici, da Aristotele agli Alessandrini, dai seguaci di Confucio a quelli di Zoroastro. Avviato dal padre agli studi di medicina, conosceva egregiamente anche le scienze naturali. Aveva contribuito a introdurre in Firenze l'arte della stampa. I suoi scritti attiravano da ogni parte d'Europa studiosi che venivano ad ascoltare le sue lezioni. Nella sua deliziosa villa di Careggi, disegnata da Michelozzo per incarico di Cosimo e governata dalle sue nipoti, egli teneva costantemente una lampada accesa davanti a un busto di Platone, che avrebbe voluto veder canonizzato come il prediletto discepolo di Cristo: atto di eresia e di lesa verità storica per il quale Roma era stata quasi sul punto di scomunicarlo. «Sa recitare a memoria un intero dialogo di Platone - dicevano le sue nipoti - ma non riesce mai a ricordare dove ha lasciato le pantofole ».
Michelangelo fermò poi la propria attenzione su Cristoforo Landino, un uomo di sessantasei anni che era stato maestro di Lorenzo e, prima ancora, di suo padre, Piero il Gottoso. Brillante scrittore e docente, cercava di spingere l'intelligenza dei fiorentini a svincolarsi dal dogma e a considerare scientificamente i fenomeni naturali. Già segretario di fiducia della Signoria, possedeva una notevole esperienza nel campo della politica e da tre generazioni esercitava un forte ascendente nella cerchia dei Medici.
Autorevolissimo dantista, aveva pubblicato la prima edizione fiorentina a stampa della Divina Commedia, corredandola di un commento. Per tutta la vita, inoltre, si era dedicato a nobilitare letterariamente il «volgare», traducendo Plinio, Orazio, Virgilio. A Firenze era largamente nota una sua affermazione rivoluzionaria, che poneva a base dell'azione la netta supremazia della speculazione e del sapere. In Lorenzo aveva trovato l'eroe della Repubblica di Platone e l'incarnazione di quella sua massima: «Il reggitore ideale di una città è l'uomo di cultura».
Seduto sull'orlo del seggiolone di cuoio, ecco Angelo Poliziano. Trentasei anni. I nemici dei Medici dicevano che Lorenzo se lo tenesse vicino per sembrare, al confronto, un bell'uomo. Era comunque ritenuto il cervello più stupefacente di quella cerchia di dotti: a dieci anni aveva pubblicato lavori in latino; a dodici era stato accolto nella «Compagnia di dottrina» di Firenze, per proseguire gli studi sotto la guida del Ficino, del Landino e dei sapienti greci affluiti nella città medicea; a sedici aveva tradotto i primi libri dell'Iliade di Omero; quindi era stato invitato a vivere nel palazzo dei Medici come istitutore dei figli del Magnifico. Bruttissimo, possedeva uno stile limpido e smagliante quale raramente s'era visto dopo il Petrarca: le sue Stanze per la Giostra di Giuliano, scritte a celebrazione di un torneo sostenuto dal fratello minore di Lorenzo, ucciso poi nella congiura dei Pazzi, costituivano ormai un modello per la poesia italiana.
Gli occhi di Michelangelo si posarono infine sul personaggio più giovane e più bello del gruppo, il ventisettenne Pico della Mirandola, che sapeva leggere e scrivere in ventidue lingue. Gli amici dicevano scherzosamente di lui: «L'unico motivo per cui Pico non ne conosce ventitré, è che non riesce più a trovarne un'altra». Noto come «il grande signore d'Italia», aveva un'indole mite e schietta; i morbidi capelli biondi, i profondi occhi azzurri, la stupenda carnagione chiara e la slanciata figura gli attiravano l'ammirazione e la simpatia dei fiorentini; ma la bellezza si accompagnava, in lui, a una nobile dignità di costumi. Il concetto fondamentale del suo intellettualismo era l'unità del sapere; la sua ambizione, conciliare tutte le religioni e le filosofie apparse fin dai tempi più remoti. Come Marsilio, aspirava ad assorbire tutto lo scibile umano. Per questo leggeva i filosofi cinesi, arabi ed ebrei nelle loro rispettive lingue, convinto che tutte le favelle fossero semplici suddivisioni razionali di un'unica lingua universale. Pur essendo il più divinamente dotato di tutti gli italiani, non aveva nemici: perfetta antitesi, sotto questo aspetto, del brutto Poliziano che non riusciva a suscitare amicizie.
La porta si aprì, ed ecco entrare Lorenzo, zoppicante per uno dei suoi consueti accessi di gotta. Rispose con un cenno del capo al saluto degli altri e subito si rivolse a Michelangelo.
- Questo è il sancta sanctorum: quasi tutto ciò che s'insegna in Firenze prende origine in questa stanza. Quando ci riuniamo, e tu non hai impegni, vieni liberamente.
Scostò un paravento finemente decorato e batté un colpo sul. l'ascensore per vivande situato dietro quello schermo, dal che Michelangelo dedusse che lo studiolo si trovasse proprio sotto la sala da pranzo. Udi salire la piattaforma; alcuni istanti dopo gli accademici ne prendevano vassoi di formaggio, frutta, pane, mie-le, noci e li disponevano sul basso tavolo al centro della stanza.
Intorno, nessun domestico. Come bevanda, nient'altro che latte.
Benché la conversazione avesse un tono gaio e leggero, Michelangelo capiva che il gruppo si era radunato per lavorare: e si sa che il vino appesantisce il cervello.
Terminato lo spuntino, il tavolo venne sparecchiato, le stoviglie rispedite in basso con l'ascensore. E immediatamente i discorsi presero un carattere serio. Seduto su uno sgabello accanto a Bertoldo, Michelangelo udì formulare nette accuse contro la Chiesa, che i presenti non erano più disposti a identificare con la loro religione. A Firenze in particolare regnava nei suoi riguardi un'atmosfera di freddezza, in quanto Lorenzo e la maggior parte dei suoi concittadini sapevano troppo bene che il papa Sisto IV non era stato affatto estraneo alla congiura dei Pazzi, sfociata nell'assassinio di Giuliano e nel fallito tentativo di uccidere anche il Magnifico. Il pontefice aveva lanciato la scomunica sulla città, proibendo al clero di esplicare il suo ministero; Firenze aveva fieramente reagito, dichiarando che le pretese di potere temporale accampate dai papi si reggevano soltanto su un «falso» storico, come la donazione di Costantino. Nel tentativo di schiacciare Lorenzo, Sisto IV aveva mandato in Toscana truppe d'invasione che s'erano date a incendiare e saccheggiare città, giungendo fino alla vicina Poggibonsi.
Con l'avvento d'Innocenzo VIII nel 1484, la pace era stata ristabilita tra Firenze e Roma; ma gli uomini radunati qui intorno al Magnifico andavano ora sottolineando la crescente immoralità del clero toscano, che si rivelava tanto nella condotta personale quanto nel modo di esercitare il ministero sacerdotale.
A tale decadenza facevano eccezione gli agostiniani di Santo Spirito che sotto la guida del priore Bichiellini davano esempio di irreprensibile disciplina.
- Credo - disse Pico della Mirandola, puntando i gomiti sul tavolo e poggiando il mento sulle mani intrecciate - d'aver probabilmente trovato la soluzione del problema riguardante la Chiesa, nella persona di un frate domenicano di Ferrara. L'ho sentito predicare in quella città: faceva fremere l'intera cattedrale.
Il Landino, con i suoi lunghi capelli bianchi che gli ombrava. no di ciocche la fronte, si protese sul tavolo, dando modo a Michelangelo di notare la fine rete di rughe intorno agli occhi.
Com'è questo frate? Massiccio e corpulento?
Tutt'altro! - rispose Pico. - Si tratta d'un profondo studioso della Bibbia e di Sant'Agostino, che deplora anche più di noi la corruzione del clero.
Angelo Poliziano, con i suoi lineamenti sgraziati e i neri capelli spioventi in liste sulle orecchie e sulle guance dalla carnagione ruvida, s'inumidì il rosso labbro inferiore.
- Non è soltanto la corruzione che mi spaventa, ma anche e più l'ignoranza.
Da parecchio tempo - proruppe Marsilio Ficino, con una luce d'entusiasmo sul viso dal naso esile e dalla bocca sottile - non s'è più visto un uomo di studio su un pulpito fiorentino. Abbiamo soltanto Fra Mariano e il priore Bichiellini.
Girolamo Savonarola ha passato lunghi anni sui libri - ribadì Pico - approfondendo tanto Platone e Aristotele quanto la dottrina cattolica.
A che cos'aspira? - domandò Lorenzo.
A ridare purezza alla Chiesa.
E a nient'altro? Non alla potenza?
Pensa soltanto a sviluppare le sue energie spirituali.
Se volesse lavorare con noi...
Si potrebbe cercare di farlo trasferire qui.
Me ne interesserò.
Liquidato questo argomento, il vecchio Landino e il giovane
Pico fissarono la loro attenzione su Michelangelo, al quale il primo dei due domandò se avesse letto ciò che Plinio aveva scritto sulla famosa statua greca del Laocoonte.
Non conosco nulla di Plinio.
Allora te lo leggerò io.
Il Landino trasse un volume dallo scaffale e trovò rapidamente il brano che narrava la storia del mirabile gruppo marmoreo conservato nel palazzo dell'imperatore Tito. «Si tratta di un'opera che merita d'essere ritenuta superiore a qualsiasi altra produzione nel campo della pittura e della scultura. Tanto la fi. gura principale quanto i bambini e i serpenti con le loro meravigliose spire sono ricavati da un unico blocco...».
Il Poliziano ricordo allora la descrizione di Luciano concernente la Venere di Cnido, raffigurata in piedi davanti a Paride, in atto di ricevere da lui il premio della propria bellezza. Pico, a sua volta, parlò della statua di marmo del Pentelico eretta sulla tomba di Senofonte.
- Vorrai certamente leggere Pausania nel testo originale - disse al ragazzo. -
Ti porterò il mio manoscritto.
Non conosco il greco - rispose Michelangelo con una punta di vergogna.
Te lo insegnerò.
Non ho disposizione per le lingue.
Non importa - s'intromise il Poliziano. -
Tra un anno sarai in grado di scrivere in greco e in latino.
In cuor suo, Michelangelo si permise di dubitarne. Ma sarebbe stata una mancanza di garbo deludere l'entusiasmo di questi nuovi amici, che ora discutevano tra loro sugli autori da fargli studiare.
Omero. Il suo greco è il più puro...
Ma Aristofane è più divertente. E ridere mentre s'impara...
Il ragazzo provò un senso di sollievo quando il gruppo cessò di occuparsi di lui. L'idea più importante che riuscì a spigolare nell'animata e dotta conversazione che seguì, fu l'affermazione della possibilità, per la religione e la cultura, di coesistere e di arricchirsi vicendevolmente. Prima dell'avvento del cristianesimo, la Grecia e Roma avevano creato opere gloriose nel campo delle arti, delle lettere, delle scienze, della filosofia; poi, per un millennio, tutte quelle testimonianze di sapere e di bellezza erano state soffocate, bandite, sepolte nell'oscurità. Ora questa piccola accolta di uomini - il sensuale Poliziano, il rugoso Landino, l'esile Marsilio Ficino, il biondo Pico della Mirandola - con la guida e l'aiuto di Lorenzo de' Medici tentava di dar vita a un nuovo movimento intellettuale, all'insegna di una parola che Michelangelo non aveva mai udito pronunciare.
Umanesimo. […].”
(Tratto da: Irving Stone, Il tormento e l’estasi, Dall’Oglio editore, 1964)

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