Quando Lorenzo il Magnifico fece da guida a Michelangelo......Forse....
Lorenzo prese la lucente lampada di bronzo. Infilarono il corridoio e giunsero nell'anticamera dell'ufficio del Magnifico, dove si trovava un bassorilievo di Donatello, arcanamente remoto e impersonale (pensò Michelangelo) come se l'artista avesse voluto rendere impossibile la sua identificazione. Passarono nella stanza da letto di Giuliano. Il più giovane dei Medici continuò a dormire, con le coperte tirate fin sulla faccia, mentre Michelangelo e Lorenzo commentavano la Madonna con il Bambino e due angeli del Pesellino, dipinta su tavola. Uscirono nuovamente nei corridoi e andarono a contemplare la Vergine in adorazione del Bambino di Filippo Lippi, posta sopra l'altare della cappella.
Modelli dell'opera, spiegò Lorenzo, erano stati la monaca Lucrezia Buti, della quale Fra Filippo si era invaghito, e il figlio nato dalla loro unione, Filippino: ossia l'attuale pittore formatosi alla scuola del Botticelli, il quale a sua volta era stato allievo di suo padre. S'indugiarono poi sulla Madonna di Neri di Bicci e sulla Vergine con il Figlio di Luca della Robbia, ornata dello stemma mediceo e tutta sfavillante di colore; infine si recarono nella stanza del Magnifico per contemplare la Madonna del Magnificat di Sandro Botticelli, dipinta per i genitori di Lorenzo una ventina di anni addietro.
Questi due angeli inginocchiati dinanzi alla Vergine e al Bambino, siamo io e mio fratello Giuliano... Quando i Pazzi lo assassinarono, la luce più radiosa si spense nella mia vita... Il mio ritratto è un'idealizzazione, come ben puoi vedere. Io sono brutto e non me ne vergogno affatto, ma tutti i pittori pensano che desideri di essere adulato. L'ha fatto anche Benozzo Gozzoli, nella nostra cappella. Mi schiariscono la carnagione, che è scura; mi raddrizzano il naso, che è girato all'insù; mi ammorbidiscono i capelli, che ho lisci e ruvidi, fino a renderli belli come quelli di Pico... -
Serio in viso, con le labbra serrate, scoccò al giovane compagno un'occhiata penetrante.
Tu mostri di sapere che non ho bisogno di adulazione.
- Il Granacci dice che sono aspro e rozzo...
Sei chiuso in un'armatura di diamante. Resta cosí.
Quindi Lorenzo gli narrò la leggenda di Simonetta Vespucci, la modella della Madonna botticelliana.
- ... la più pura bellezza che l'Europa abbia mai conosciuto.
Non è vero che fosse l'amante di mio fratello Giuliano. Egli ne era bensì innamorato, come del resto tutta Firenze, ma platonica-mente. Scriveva per lei lunghe poesie sentimentali, ma la sua vera amante era Antonia Gorini, dalla quale ebbe infatti un figlio, mio nipote Giulio. Il più ardente spasimante di Simonetta fu Sandro Botticelli, del quale dubito tuttavia se le abbia mai rivolto la parola. E lei la donna di tutte le sue pitture: la Prima-vera, Venere, Pallade. Nessun artista ha mai dipinto una così squisita bellezza femminile.
Michelangelo taceva. Quando pensava a sua madre, la immaginava come una giovane donna molto bella; ma la bellezza che egli sentiva era d'un tipo diverso: un'irradiazione dell'ani.
ma. Il suo ideale non era una donna che accendesse il desiderio degli uomini, come quella idolatrata dal Botticelli, bensì una donna che amava il proprio figlio e ne era amata. Alzò il viso verso Lorenzo, parlando con piena confidenza.
Sento molto la Madonna. E l'unica immagine che ho di mia madre. Dal momento che debbo ancora cercare quale sarà la mia tecnica, non mi conviene anzitutto sapere che cosa voglio esprimere?
Infatti - assentì serio Lorenzo.
Il sentimento che ho di mia madre rispecchia forse quello che ella aveva per me.
Ora Michelangelo passava lunghe ore nelle sale del palazzo, copiando le opere dei grandi maestri, talvolta con Contessina o Giuliano che gli tenevano compagnia. Poi, stanco di cimentarsi con idee altrui, prese a bazzicare per i quartieri più poveri della città, dove le donne lavoravano sui marciapiedi davanti alle loro abitazioni, con i bimbi in grembo o al seno, impagliando sedie e damigiane. Si spinse nella campagna di Settignano, dove le contadine che lo avevano conosciuto bambino non badavano affatto se le disegnava mentre allattavano i loro piccini o facevano far loro il bagno.
Egli non portava in questi suoi esercizi nessuna preoccupazione di ritrattista: mirava soltanto a cogliere il sentimento della maternità. Disegnava la madre e il bimbo in tutti gli atteggiamenti che gli capitavano sott'occhio, scoprendo attraverso l'uso del carboncino l'intimo rapporto tra loro; con qualche moneta persuadeva le donne a muoversi, a mutare posa e a fornirgli altri angoli visivi, in quella sua ricerca di qualcosa che non avrebbe saputo esattamente definire.
Con il Granacci, il Torrigiani, il Sansovino e il Rustici si recava ad esplorare i capolavori dell'arte fiorentina, sempre concentrandosi sul tema della Madonna con il Figlio e ascoltando i chiarimenti di Bertoldo, che di ogni opera analizzava i particolati per mostrare con quali procedimenti i loro predecessori avevano raggiunto simili risultati.
In Santa Croce, ad esempio, constatava quanto v'era di pesante e di inespressivo nella Vergine con il Bambino di Bernardo
Rossellino; nella stessa chiesa coglieva il carattere prettamente popolaresco delle due figure scolpite da Desiderio da Settignano, evidentemente una contadina con il suo piccino avvolto in fasce.
Tenera, affettuosa e intensamente espressiva era la Vergine della Natività dell'Orcagna che si ammirava in Orsanmichele; ma egli vi scorgeva un che di primitivo e di legnoso. Scolpita con arte magistrale sembrava la Madonna di Nino Pisano in Santa Maria Novella, ma la compita moglie di qualche mercante pisano che le aveva fornito le proprie sembianze e che teneva tra le braccia il bambino riccamente vestito era mal proporzionata e priva di spiritualità. Una terracotta del Verrocchio presentava una Madonna di mezza età, in atto di contemplare perplessa questo suo figlio che già si reggeva in piedi e benediceva il mondo. Agostino di Duccio, infine, aveva creato due figure fresche ed eleganti, dall'espressione piena di aristocratico riserbo.
Una mattina Michelangelo, solo, risali l'Arno verso Pontassieve, sotto un sole così cocente che a un certo punto si mise a torso nudo. Le azzurre colline toscane, avvolte di vapori, sfumavano e svanivano verso l'orizzonte in una mossa prospettiva di dorsali sinuose. Egli sentiva di amarle. Mentre vi si addentrava con passo deciso, affrontando un ripido pendio, si rese conto che non era ancora riuscito a precisare dentro se stesso ciò che voleva esprimere nel gruppo della Vergine e del Figlio. Sapeva soltanto di aspirare a qualcosa di schietto, di fortemente vivo. Prese a meditare sul carattere e sul destino di Maria. Uno dei temi favoriti dei pittori fiorentini era l'Annunciazione: l'arcangelo Michele che scendeva dal cielo per dire alla Vergine che avrebbe dato alla luce il Figlio di Dio. In tutte le pitture che ricordava, questo annuncio sembrava coglierla di sorpresa e non lasciarle possibilità di scelta.
Ma era possibile una cosa simile? Possibile che un compito così sublime, il più importante mai assegnato a creatura umana fin dal tempo di Mosè, le fosse stato imposto senza sua previa conoscenza e consenso? Indubbiamente Dio doveva aver amato Maria più di tutte le altre donne della terra, per far cadere su lei la sua scelta. Non avrebbe dunque dovuto confidarle il suo piano, rivelarle ogni passo della via che conduceva da Betlemme al Calvario? E, nella sua infinita saggezza e bontà, lasciarla libera di sottrarsi a un tale destino?
E ancora: se Maria aveva avuto la libertà di scelta, quando ne aveva fatto uso? Al momento dell'Annunciazione? Alla nascita di Gesù? Durante la più tenera infanzia del Redentore?
Una volta dato il proprio assenso, non doveva forse portare il suo peso fino al giorno della crocifissione? E, conoscendo il futuro, come aveva potuto assoggettare il proprio figlio a un simile strazio? Non avrebbe potuto dire: « No, figlio mio, non acconsentirò, non permetterò che questo accada »? Ma come opporsi al desiderio di Dio, il quale aveva fatto appello al suo aiuto? Quale donna si era mai trovata nella morsa di un così martoriante dilemma?
Michelangelo uscì dall'incertezza: avrebbe raffigurato Maria nell'istante della decisione, mentre allatta il Bambino e, conscia d'ogni cosa, deve prestabilire l'avvenire: per sé, per la sua creatura, per il mondo.
Ora che il suo concetto s'era chiarito, poteva disegnare senza tentennamenti. La figura di Maria avrebbe dominato il marmo: sarebbe stata il centro della composizione. Una figura eroica, non soltanto libera di decidere, ma dotata di tutta la forza morale e di tutta l'intelligenza indispensabili per farlo. Il Bambino avrebbe avuto un'importanza secondaria: presente e partecipe, intensamente vivo, non doveva tuttavia costituire un elemento di distrazione.
L'avrebbe collocato in grembo alla madre, con il viso affondato nel suo seno e le spalle rivolte verso lo spettatore. Questo atteggiamento lo coglieva nel suo giusto posto e nel momento più significativo della sua giornata; nello stesso tempo, per un evidente simbolismo, presentava la più intima rispondenza con l'istante in cui Maria avvertiva l'urgenza dell'ineludibile decisione.
Per quanto gli risultava, nessuno aveva mai dipinto o scolpitoGesù voltato di spalle. Ma il dramma di Gesù sarebbe cominciato soltanto trent'anni dopo: questo era il tempo della madre, questo doveva essere il suo ritratto spirituale.
Dalle decine di disegni e di schizzi fatti nei mesi precedenti trasse quelli che meglio rispondevano al suo nuovo concetto e, tenendoli sciorinati sul tavolo, cominciò a cercare l'ambientazione della scena. Dove poteva trovarsi Maria in quell'istante? Ecco qui un disegno che rappresentava una madre seduta su una panca ai piedi di una scala. Con lei, oltre al suo bambino, una frotta di fanciulli intenti al gioco. La figura di Maria poteva essere una sintesi di questi vigorosi tipi di madri toscane. Ma come delinearne il viso? Delle sembianze della propria madre egli aveva un ricordo ormai vago, come d'una creatura appena vista in sogno...[…].”
(Tratto da: Irving Stone, Il tormento e l’estasi, Dall’Oglio editore, 1964)
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