La comunità fiorentina a Roma ai tempi di Michelangelo
“[…] Quella sera il Balducci condusse Michelangelo in casa di Paolo Rucellai, cugino dei Rucellai fiorentini e quindi suo lontano parente, che abitava nel quartiere di Ponte, noto come «una piccola Firenze tutta chiusa in se stessa». Qui, accentrati intorno al loro rappresentante diplomatico e alle succursali delle banche toscane, i fiorentini trapiantati a Roma formavano una specie di salda comunità e avevano perfino i loro mercati dove potevano trovare la pasta, le carni, le verdure, le frutta e i dolciumi della loro regione. Acquistata un'area di terreno, vi avevano eretto una loro chiesa; e avevano perfino comprato le poche case ancora possedute da romani in via Canale, per impedire qualsiasi intrusione ad elementi locali. L'odio era reciproco. I romani dicevano: «Meglio un morto in casa che un fiorentino alla porta»; i fiorentini interpretavano la sigla S.P.Q.R. come: «Sono Porci Questi Romani».
La zona fiorentina di Ponte s'annidava in un'ampia curva del fiume, attraversata nel punto mediano dal ponte detto appunto Fiorentino, che portava in Trastevere. Comprendeva eleganti palazzi, due vie fiancheggiate da solide case fra le quali si stendevano orti e giardini. Le banche si trovavano in via Canale, in prossimità della Camera Apostolica, ossia della banca inficiale del Vaticano. A un'estremità della zona, presso il ponte Sant'Angelo, sorgevano i palazzi degli Altoviti e dei Pazzi.
Lungo la sponda del fiume s'allargava un tratto verdeggiante e fiorito che diventava un lago quando il Tevere straripava, come era avvenuto l'anno precedente.
In mezzo al caos e al sudiciume di Roma, la prospera colonia fiorentina inaffiava e spazzava le proprie vie ogni mattina, le teneva sempre ben selciate, curava assiduamente la manutenzione delle case, che vendeva e affittava soltanto a corregionali.
Multe proibitive erano comminate a chi gettasse immondizie nella strada o stendesse panni ad asciugare alle finestre della facciata anziché a quelle posteriori. Guardie armate svolgevano servizio di polizia durante la notte: era questo l'unico quartiere in cui si potesse essere sicuri di non inciampare in un cadavere uscendo di casa allo spuntar dell'alba.
In casa Rucellai, Michelangelo ebbe modo di conoscere i membri delle più eminenti famiglie della colonia: i Tornabuoni, gli Strozzi, i Pazzi, gli Altoviti, i Bracci, gli Olivieri, i Ranfredini e i Cavalcanti, per i quali aveva lettere di presentazione.
I fiorentini di Ponte esplicavano le più svariate attività. Alcuni erano banchieri, altri mercanti di sete e lane, gioiellieri, importatori di grano, orefici e argentieri, proprietari o costruttori di navi mercantili che avevano le loro basi a Ripa Grande e a Ripetta, dove i barconi risalivano il Tevere portando spezie e oggetti di lusso provenienti dal Levante, vini e oli della Toscana, marmi di Carrara, legname da costruzione della Schiavonia.
• Di chi sei figlio? - domandavano a Michelangelo questi fiorentini.
• Di Lodovico Buonarroti Simoni.
• Conosco il suo nome - essi dicevano con un cenno d'assenso: e da quel momento lo consideravano uno di loro.
I Rucellai avevano trasformato la loro abitazione in una casa di puro gusto fiorentino, con un profondo caminetto di pietra serena, il pavimento della sala da pranzo a piastrelle smaltate secondo la tradizione di Luca della Robbia, i mobili intarsiati nello stile tanto caro ai toscani. Michelangelo si astenne dal ti velare al bello e affabile Paolo la sua parentela con i Rucellai, dato che questi avevano rotto ogni rapporto con i Buonarroti, Il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di fare il primo passo. […]”.
(Tratto da: Irving Stone, Il tormento e l’estasi, Dall’Oglio editore, 1964)
La zona fiorentina di Ponte s'annidava in un'ampia curva del fiume, attraversata nel punto mediano dal ponte detto appunto Fiorentino, che portava in Trastevere. Comprendeva eleganti palazzi, due vie fiancheggiate da solide case fra le quali si stendevano orti e giardini. Le banche si trovavano in via Canale, in prossimità della Camera Apostolica, ossia della banca inficiale del Vaticano. A un'estremità della zona, presso il ponte Sant'Angelo, sorgevano i palazzi degli Altoviti e dei Pazzi.
Lungo la sponda del fiume s'allargava un tratto verdeggiante e fiorito che diventava un lago quando il Tevere straripava, come era avvenuto l'anno precedente.
In mezzo al caos e al sudiciume di Roma, la prospera colonia fiorentina inaffiava e spazzava le proprie vie ogni mattina, le teneva sempre ben selciate, curava assiduamente la manutenzione delle case, che vendeva e affittava soltanto a corregionali.
Multe proibitive erano comminate a chi gettasse immondizie nella strada o stendesse panni ad asciugare alle finestre della facciata anziché a quelle posteriori. Guardie armate svolgevano servizio di polizia durante la notte: era questo l'unico quartiere in cui si potesse essere sicuri di non inciampare in un cadavere uscendo di casa allo spuntar dell'alba.
In casa Rucellai, Michelangelo ebbe modo di conoscere i membri delle più eminenti famiglie della colonia: i Tornabuoni, gli Strozzi, i Pazzi, gli Altoviti, i Bracci, gli Olivieri, i Ranfredini e i Cavalcanti, per i quali aveva lettere di presentazione.
I fiorentini di Ponte esplicavano le più svariate attività. Alcuni erano banchieri, altri mercanti di sete e lane, gioiellieri, importatori di grano, orefici e argentieri, proprietari o costruttori di navi mercantili che avevano le loro basi a Ripa Grande e a Ripetta, dove i barconi risalivano il Tevere portando spezie e oggetti di lusso provenienti dal Levante, vini e oli della Toscana, marmi di Carrara, legname da costruzione della Schiavonia.
• Di chi sei figlio? - domandavano a Michelangelo questi fiorentini.
• Di Lodovico Buonarroti Simoni.
• Conosco il suo nome - essi dicevano con un cenno d'assenso: e da quel momento lo consideravano uno di loro.
I Rucellai avevano trasformato la loro abitazione in una casa di puro gusto fiorentino, con un profondo caminetto di pietra serena, il pavimento della sala da pranzo a piastrelle smaltate secondo la tradizione di Luca della Robbia, i mobili intarsiati nello stile tanto caro ai toscani. Michelangelo si astenne dal ti velare al bello e affabile Paolo la sua parentela con i Rucellai, dato che questi avevano rotto ogni rapporto con i Buonarroti, Il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di fare il primo passo. […]”.
(Tratto da: Irving Stone, Il tormento e l’estasi, Dall’Oglio editore, 1964)
(foto tratta da wikipedia.it)
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