Santa Maria Novella ai tempi di Michelangelo
zio materno di Michelangelo, aveva avuto il buon gusto di scegliere Leon Battista Alberti per disegnare questa stupenda facciata di marmo bianco e nero. Al pensiero dei Rucellai il ragazzo ebbe un intimo sussulto, tanto piú che in casa non gli era nemmeno permesso di pronunciarne il nome. Non era mai stato nel loro palazzo di via della Vigna Nuova; ma quando vi passava davanti rallentava sempre un po' l'andatura per spingere lo sguardo negli spaziosi giardini ricchi di antiche statue greche e romane, e per studiare le linee architettoniche del signorile edificio, disegnato anch'esso dall' Alberti.
Il lungo e dinoccolato Tedesco, al quale spettava il compito di sorvegliare lo scarico del materiale, poté levarsi il capriccio di assumere un piglio d'autorità con il ragazzo. Varcata la porta di bronzo con un rotolo di disegni sotto il braccio, Michelangelo si soffermò un attimo respirando l'aria impregnata d'odore d'incen-so. Il tempio si stendeva dinanzi a lui in tutta la sua lunghezza di oltre novanta metri, con le sue tre navate ogivali e le sue file di maestose colonne sempre meno distanziate tra loro quanto piú si avvicinavano all'altar maggiore, dietro il quale il Ghirlandaio con i suoi garzoni lavorava da tre anni. Le pareti laterali erano coperte di meravigliose opere d'arte; immediatamente sopra la testa di Michelangelo v'era il Crocifisso su tavola di Giotto.
Egli risali lentamente la navata centrale, assaporando quanto gli si scopriva ad ogni passo. Era come procedere attraverso la storia dell'arte italiana, cominciando da Giotto, pittore, scultore e architetto, che secondo la leggenda era stato scoperto da Cima-bue mentre sorvegliava le pecore e disegnava su una pietra, ed aveva poi liberato la pittura dalla cupa staticità bizantina. A lui erano seguiti novant'anni di semplice imitazione, fino al giorno in cui Masaccio (eccone la splendida e vivida prova lí a sinistra, nell'affresco della Trinità), spuntato da Dio sa dove, aveva segnato la rinascita dell'arte fiorentina.
Ancora nella navata sinistra poteva ammirare il Crocifisso del Brunelleschi, la cappella Strozzi con affreschi e sculture degli Or-cagna; in fronte all'altar maggiore le sculture in bronzo del Ghiberti; e poi, a conclusione di tutta questa magnificenza, la cappella Rucellai, costruita dalla famiglia di sua madre la metà del secolo XIII, quando essa aveva conquistato la fortuna grazie all'attività di un suo membro che aveva appreso in Oriente il se greto per produrre una bellissima tintura rosso-purpurea per le stoffe ().
Michelangelo non aveva mai saputo decidersi a salire i pochi gradini della cappella, sebbene essa contenesse i piú eccelsi tesori artistici di Santa Maria Novella: gli sarebbe parso di mancare di lealtà alla propria famiglia. Ma ora che si era svincolato dalla volontà dei suoi e si accingeva a lavorare in questa chiesa, non aveva forse acquisito il diritto di entrarvi, senza sentirsi un intruso nei riguardi di questi parenti che dopo la morte di sua madre avevano rotto ogni rapporto con i Buonarroti e si disinteressavano completamente dei cinque figli di Francesca Rucellai del Sere, figlia di Maria Bondi Rucellai?
Posò il rotolo e mosse lentamente verso la gradinata. Giunto nell'interno della cappella, s'inginocchiò: qui, davanti a questa Madonna di Cimabue e a questa marmorea Vergine con il Figlio di Nino Pisano, la sua nonna materna aveva pregato negli anni della gioventú; qui aveva pregato sua madre, in quei giorni di festa che vedevano riunita tutta la famiglia.
Senti negli occhi un bruciore di lacrime, che poi gli rigarono il viso. Le preghiere che gli erano state insegnate, e che finora aveva sempre recitato meccanicamente, gli sgorgarono con appassionato impeto dal cuore. Pregava le mirabili Madonne, o sua madre? Ma c'era poi una reale differenza? Ella non aveva forse vegliato su lui come una Madonna? I vaghi ricordi che serbava di lei si confondevano con il pensiero della Vergine in un unico sentimento.
S'alzò, s'accostò alla Vergine di Nino Pisano e fece trepidamente scorrere le lunghe dita scarne sul drappeggio marmoreo.
Poi si volse e si allontano. Per qualche istante ristette in cima alla gradinata pensando al contrasto tra le due famiglie. I Rucellai avevano edificato questa cappella intorno al 1265, ossia nell'epoca in cui i Buonarroti conquistavano anch'essi la prosperità. Non si poteva negare che i Rucellai avessero saputo valutare e riconoscere i pittori e gli scultori piú geniali, quasi i creatori delle loro rispettive arti: Cimabue verso la fine del secolo XIII, Nino Pisano nel 1365. E anche attualmente, nel 1488, competevano amichevolmente con i Medici per assicurarsi le sculture che venivano alla luce dagli scavi eseguiti in Grecia, in Sicilia e a Roma. […]”.
“() Il nome della famosa famiglia fiorentina, nella sua forma originaria (Oricellari) deriva appunto da questa tintura (oricello) ottenuta da un lichene del genere « Rocella ». (N. del T.).”
(Tratto da: Irving Stone, Il tormento e l’estasi, Dall’Oglio Editore, 1964)
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