La tecnica dell'affresco
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”[…] Dall'impalcatura, il Bugiardini lo chiamò con un grido. Tutti i componenti della bottega si muovevano in armonia. Sul ruvido arriccio del giorno precedente, il Bugiardini stava ora stendendo l'intonaco della porzione da affrescare in giornata. Aiutato da tre compagni, applicò contro la parete il cartone: il Ghirlandaio calcò con un'asticciola a punta d'avorio i contorni delle figure, quindi fece cenno di toglierlo. I giovani apprendisti scesero dal palco, ma Michelangelo s'indugio a osservare il maestro che rimestava i colori di origine terrosa in vasetti d'acqua, strizzava il pennello tra le dita e cominciava a dipingere.
Bisognava che lavorasse con sicurezza e rapidità, perché doveva terminare prima che l'intonaco seccasse: altrimenti sulla superficie non ancora dipinta si sarebbe formata una crosta e sarebbero poi emerse macchie e muffe. Un calcolo errato della quantità di lavoro che poteva eseguire nel corso della giornata avrebbe comportato la necessità di raschiar via l'indomani mattina la porzione d'intonaco avanzata e ormai disseccata: il che lasciava nettamente visibile la linea di sutura. Impossibile perfino ritoccare: i colori aggiunti in un secondo tempo dovevano contenere colla, che falsava e incupiva le tinte dell'affresco.
Michelangelo, ritto sul palco con un secchiello d'acqua in mano, spruzzava via via la zona sulla quale correvano leggerissimi pennelli del maestro, per mantenere il giusto grado di umidità.
Capiva per la prima volta quanto vi fosse di vero in quel detto secondo il quale nessun pusillanime si cimentava nell'affresco.
Guardava il Ghirlandaio farsi risolutamente avanti e dipingere la ragazza con il canestro di frutta sul capo e con l'ampia gonna ondeggiante, allora di moda, che dava alle fanciulle fiorentine un'aria di maestose matrone. Accanto a lui, il Mainardi era intento a dipingere le due anziane e posate figure femminili - due donne della famiglia Tornabuoni - venute a far visita a Santa Elisabetta.
Su un piano piú alto dell'impalcatura, Benedetto lavorava intorno alle ardue curvature della volta. Al Granacci era stata affidata la figura della fantesca al centro dello sfondo, recante un vassoio. Davide stava dipingendo la santa, nel suo letto riccamente scolpito. Il Bugiardini, al quale erano toccate la finestra e le incorniciature delle porte chiamò in aiuto Michelangelo e gli fece cenno di spruzzare un poco l'intonaco; quindi arretrò d'un passo per contemplare con viva soddisfazione la finestrella che aveva appena finito di dipingere sopra la testa di Santa Elisabetta.
Hai mai visto una finestra piú bella?
Magnifica, Bugiardini - lo complimentò il ragazzo. - Specialmente lo spazio aperto che lascia vedere.
Il Bugiardini osservò meglio, perplesso ma inorgoglito.
Ti piace anche quello? Strano, perché non l'ho ancora dipinto.
Il momento culminante venne quando il Ghirlandaio, aiutato dal Mainardi, realizzò la squisita figura giovanile di Giovanna Tornabuoni, elegantissima nelle sue vesti di seta fiorentina e sfavillante di gioielli, che guardava in viso il pittore senza mostrare il minimo interesse per la santa seduta nel suo letto, né per il Giovannino succhiante al petto di un'altra Tornabuoni accomodata su una panca. Il riquadro richiese cinque giorni di accanito lavoro. Solo a Michelangelo non era consentito di maneggiare i pennelli. E questo, per un verso, lo tormentava: pur essendo entrato da appena tre mesi nella bottega del Ghirlandaio, infatti, non si sentiva da meno degli altri apprendisti suoi coetanei. Nello stesso tempo, tuttavia, un'intima voce continuava a dirgli che tutta questa febbrile attività non lo riguardava. Anche nei momenti in cui l’esclusione lo faceva maggiormente soffrire, provava l’impulso di fuggire via da questa chiesa, via dai suoi compagni, per isolarsi in un proprio mondo.
Verso la fine della settimana l’intonaco cominciò ad asciugare, la calce riprese dall'aria il suo acido carbonico, fissando i colori.
Michelangelo constatò di essersi ingannato quando aveva temuto che le tinte venissero assorbite dalla calce umida: restavano invece in superficie, coperte da una patina cristallina che le rivestiva come l’epidermide di un giovane atleta riveste la carne e il sangue, L'intero riquadro aveva ora una lucentezza metallica che avrebbe protetto i colori dal caldo, dal freddo e dall'umidità, Ma il fatto più sorprendente era che la zona dipinta giorno per giorno, asciugando lentamente, prendeva le esatte tonalità ideate dal maestro nel suo studio.
Eppure Michelangelo, quando la domenica seguente andò per conto suo in Santa Maria Novella durante la messa, passando tra i fedeli che indossavano i loro corti farsetti di velluto e i loro ampi mantelli di ciambellotto orlati di vaio, provò un senso di delusione, tanto l'affresco era lontano dalla freschezza e dal vigore dei disegni. Le otto figure femminili erano vite ferme, come in un mosaico. E quella non si poteva certo dire la natività di Giovanni nel modesto ambiente domestico di Elisabetta e Zacca-ia: era un convegno di società nella casa di un principesco mercante italiano, una scena completamente priva di spiritualità e di contenuto religioso.
Ritto di fronte allo splendido affresco, il ragazzo comprese quanto il Ghirlandaio amasse Firenze. La città era la sua religione. Passava la propria vita a dipingerne gli abitanti, i palazzi, gli interni squisitamente decorati, le architetture, le vie pulsanti di vita, gli opulenti cortei religiosi e civili. E quale occhio possedeva! Nulla gli sfuggiva. Poiché nessuno gli chiedeva di dipingere Firenze, di Firenze aveva fatto Gerusalemme, della campagna toscana il deserto di Palestina, dei moderni fiorentini i personaggi biblici. E siccome Firenze era piú pagana che cristiana, tutti gustavano i raffinati ritratti del Ghirlandaio.
Michelangelo usci dalla chiesa con un senso di depressione.
Le forme erano superbe; ma dov'era la sostanza? Gli occhi gli si annebbiavano, mentre si sforzava di tradurre in parole i pensieri che gli tumultuavano nella mente. […].”
(Tratto da: Irving Stone, Il tormento e l’estasi, Dall’Oglio Editore, 1964)
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