La quotidianeità nei dipinti del Quattrocentro
“[…] I cittadini che appaiono alla periferia dei dipinti quattrocenteschi si portano qualche volta le mogli con sé – dame dal volto pungente e dal naso aguzzo in cuffie bianche e severi abiti neri, quali si vedono negli affreschi di Benozzo e del Ghirlandaio. L’ingresso di queste donne, di queste arcigne spettatrici, significa che la pittura a Firenze è passata nel genere, che d’ora innanzi diviene l’alternativa alla magia o all’incantesimo del pennello. Con Filippo, con Benozzo e col Ghirlandaio, letti, tegami, padelle, brocche, catini, seggiole, tavoli, stuoie cominciano a piovere nelle storie della Sacra Scrittura come fossero scaricati da un impresa di traslochi. La nascita del Bambin Gesù diventa, per Ghirlandaio, un parto con domestiche e levatrici. E’ vero che il genere era implicito nella pittura fiorentina fin dai tempi di Giotto, che amava ritrarre un dormiente nel letto con tutti i suoi indumenti e oggetti personali sistemati in bell’ordine, ma lo sfoggio di articoli casalinghi in un interno ben disegnato ed elegante ha inizio soltanto quando i pittori di gioventù, d’amore, di primavera, di danze e splendide feste mossero, per logica necessità, nel tempo ordinario scandito dall’orologio. […]”
(Mary McCharty, Le pietre di Firenze, 1956)
(Mary McCharty, Le pietre di Firenze, 1956)
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