Una domenica a pranzo da Lorenzo de'Medici

foto da wikipedia.it
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“[…] Salirono al piano superiore, attraversarono il lungo vestibolo e, svoltando bruscamente a destra, entrarono nella sala da pranzo. Michelangelo fu sorpreso di trovarsi in una stanza dall'aspetto solenne e severo, senza nemmeno un'opera d'arte. Stipiti delle porte e davanzali delle finestre dorati, pareti d'un freddo e sobrio color crema. Verso l'estremità della sala tre tavoli disposti a ferro di cavallo, con sedie collocate tanto all'esterno quanto lungo i lati interni, poteva ospitare complessivamente una sessantina di persone, dando modo a tutti i commensali di sedere a breve distanza dal Magnifico, in un'atmosfera di tranquilla intimità.
Era ancora presto. Michelangelo si soffermò sulla soglia; ma Lorenzo, che aveva alla sua destra Contessina e a sinistra un mercante fiorentino, lo chiamò.
Michelangelo, vieni a sederti qui accanto a noi. I posti non sono fissi: chi arriva per primo occupa il piú vicino.
Contessina lo invitò con un gesto a sedersi accanto a lei. Il ragazzo, accomodandosi, notò la bellezza del servizio da tavola: bicchieri di cristallo di forma quadrata con l'orlo dorato, piatti d'argento fregiati del giglio fiorentino in oro, coltelli dello stesso metallo, cucchiai con le sei « palle» dello stemma mediceo.
Mentre egli ossequiava Lorenzo, alcuni servitori stavano rimovendo grandi vasi di piante verdi posti davanti alla vasta nicchia dell'orchestra, che era composta di sei strumenti: un clavicembalo a doppia tastiera, un'arpa, tre viole e un liuto.
- Benvenuto a palazzo, Michelangelo - mormorò Contessina. - Il babbo mi dice che ora farai parte della famiglia. Debbo chiamarti fratello?
Egli si rese conto che la fanciulla intendeva impegnarlo in una piccola schermaglia verbale e si rammaricò di non essere un fine e garbato parlatore. breve esitazione.
- « Cugino » non sarebbe forse meglio? - replicò dopo una risatina.
Sono contenta che questo tuo primo desinare con noi capiti di domenica. Nei giorni feriali noi donne non siamo ammesse a tavola: consumiamo i pasti sulla loggia. […]
I commensali, vestiti di ricchi colori, facevano via via il loro ingresso nella sala come se fosse la Corte di un sovrano, mentre musici suonavano. Un cavaliere di Spagna: Lucrezia, figlia del Magnifico, con il marito Jacopo Salviati; i cugini del padrone di Casa, Giovanni e Lorenzo de' Medici, che da lui erano stati allevati dopo essere rimasti orfani; il priore Bichiellini, brillante e occhialuto superiore dei frati agostiniani della chiesa di Santo Spirito, dov'erano conservate le biblioteche del Petrarca e del Boccaccio.
Giuliano da Sangallo, che aveva disegnato la squisita villa di Poggio a Caiano; il duca di Milano, diretto a Roma con il suo seguito; l'ambasciatore del sultano di Turchia; due cardinali provenienti dalla Spagna; membri di famiglie principesche di Bologna, Ferrara e Arezzo; studiosi giunti da Parigi e dalla Germania con manoscritti, trattati e opere d'arte; cittadini che facevano parte della Signoria; il blando Pier Soderini, del quale Lorenzo intendeva fare il primo magistrato di Firenze; un inviato del doge di Venezia; alcuni docenti dell'Università di Bologna; ricchi mercanti fiorentini, con le loro mogli, uomini d'affari che venivano da Atene, da Pechino, da Alessandria d'Egitto, da Londra. E tutti quanti presentavano i loro omaggi all'ospite.
Contessina ragguagliava di volta in volta Michelangelo sull’identità degli invitati. Ecco Demetrio Calcondila, che dirigeva la pubblica Accademia Greca istituita dal Magnifico e aveva collaborato alla prima edizione a stampa di Omero; Vespasiano da Bisticci, l'eminente bibliofilo e mercante di manoscritti preziosi, che aveva rifornito le biblioteche del defunto pontefice Nicolò V, di Alessandro Sforza, del conte di Worcester e dei Medici, i dotti inglesi Tommaso Linacre e Guglielmo Grocyn, che studiavano sotto la guida del Poliziano e del Calcondila, membri dell’Accademia Platonica; l'umanista tedesco Giovanni Reochlin, discepolo di Pico della Mirandola; Fra Mariano, per il quale Lorenzo aveva fatto costruire fuori di Porta San Gallo un convento su disegni di Giuliano da Sangallo; un ambasciatore venuto a portare la notizia della repentina morte di Mattia Corvino, te d'Ungheria, che era stato un fervente ammiratore di « Lorenzo, Piero de' Medici, il figlio maggiore del Magnifico, e la sua elegantissima consorte Alfonsina Orsini, essendo giunti in ritardo, dovettero prender posto all'estremità d'uno dei tavoli laterali. Michelangelo notò che erano indispettiti.Piero e Alfonsina non approvano tutte queste usanze repubblicane - bisbigliò Contessina. - Secondo loro dovremmo tenere Corte: al tavolo d'onore soltanto i Medici, gli altri, a distanza. Accompagnato dal cugino Giulio entrò Giovanni, il secondogenito di Lorenzo, con la tonsura rasa di fresco e l'occhio difettoso che involontariamente ammiccava. Alto e corpulento, con la faccia massiccia e il mento carnoso, aveva i capelli castani e la carnagione chiara della madre. Giulio, figlio illegittimo del defunto fratello di Lorenzo, era invece bruno, dotato di notevole bellezza, con un'impronta di pensosa gravità che rivelava il tipo saturnino. I suoi occhi di freddo calcolatore passarono in rassegna i presenti, sceverandoli con sicura prontezza. Non si lasciava mai sfuggire nulla di quanto potesse servirgli.Ultima ad entrare fu Nannina de' Medici, al braccio d'un bell'uomo dall'aspetto brillante.
Mia zia Nannina - mormorò Contessina - e suo marito Bernardo Rucellai. Un buon letterato, dice mio padre. A volte l'Accademia Platonica si riunisce nel suo giardino.
Michelangelo analizzò attentamente l'aspetto di questo cugino di sua madre, ma a Contessina non disse nulla della sua relazione di parentela con i Rucellai.
I suonatori attaccarono il motivo di Corinto, la cui musica era stata adattata alle parole d'una poesia di Lorenzo; intanto i due servitori addetti al montacarichi cominciavano a tirar su le porta-te. Mentre i domestici passavano tra i commensali con pesanti vassoi d'argento colmi di pesce, Michelangelo rimase di stucco nel vedere un individuo dal giubbetto multicolore prendere un esile pesciolino, accostarselo all'orecchio e poi alla bocca come se avesse con esso un colloquio, e un momento dopo rompere in pianto. Tutti gli occhi erano fissi su di lui. Michelangelo, sconcertato, si volse verso Contessina.
- E Jacquo, il buffone di palazzo. Ridi anche tu, da bravo fiorentino!
- Perché piangi, Jacquo? - domandò Lorenzo.
- Or sono alcuni anni, mio padre mori annegato. Ora ho domandato a questo pesciolino se lo abbia visto da qualche parte. Egli mi ha risposto che a quel tempo era troppo piccolo per averlo incontrato, e mi ha consigliato di interrogare quei pesci più grossi, i quali probabilmente, sono gli informati.
- Dategliene uno, ché possa interrogarlo! - ordinò Lorenzo divertito
E risata collettiva animò di colpo l'atmosfera, anche tra quei commensali che non si erano mai incontrati e che in alcuni casi appartenevano ad ambienti disparatissimi. […]
Dopo il pesce venne servito un fritto misto. Michelangelo era troppo impegnato a osservare Lorenzo, che parlava ora con l'uno ora con l'altro di quei trenta o quaranta invitati, per assaporare i cibi.
- Il Magnifico deve sostenere una bella fatica, a tavola!
Va avanti cosi per tutta la durata del pasto?
- Prova sinceramente gusto alla compagnia di questa gente; il rumore, le conversazioni e gli scherzi lo divertono. Ma si siede sempre a tavola con cento scopi nella mente, e quando si alza li ha raggiunti tutti quanti.
I servitori addetti al montacarichi tirarono su dei porcellini da latte arrostiti allo spiedo, con rametti di rosmarino in bocca.
Il Cardiere, un improvvisatore che si accompagnava con la lira, intrattenne gli ospiti cantando spiritose strofette su avvenimenti e pettegolezzi della settimana.
Dopo i dolci, gli invitati uscirono a passeggiare nell'ampio vestibolo. […].”
(Tratto da: Irving Stone, Il tormento e l’estasi, Dall’Oglio editore, 1964)

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