Il Palazzo Medici-Riccardi ed i suoi tesori ai tempi di Michelangelo

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“[…] Attraversarono la piazza San Marco e svoltarono in via Larga, mentre Bertoldo si avvolgeva la sciarpa di lana intorno al collo e la sollevava per proteggere dal freddo pungente la parte inferiore del viso. Dal lato di via de' Gori il palazzo mediceo, terminato trent'anni addietro da Michelozzo, poggiava sulle fondamenta della seconda cerchia antica della città. Era di tanta ampiezza da poter ospitare una numerosa famiglia che comprendeva membri di tre generazioni, il governo di una repubblica, la direzione di un'organizzazione commerciale estesa in tutto il mondo, un centro artistico e culturale che accoglieva uomini di studio venuti da ogni parte: casa, ufficio, fondaco, università, bottega d'arte, galleria di capolavori, teatro e biblioteca, aveva quell'austera e maestosa semplicità che distingueva il gusto dei Medici.
In questo palazzo non v'è nulla di scadente - disse Bertoldo.
La facciata di pietra stimolò l'entusiasmo di Michelangelo, mentre si soffermava un momento a contemplarla con occhi sfavillanti d'ammirazione. Sebbene l'avesse vista innumerevoli volte, gli sembrava sempre nuova. Quali superbi artigiani, questi scalpellini! Il bugnato del rustico pianterreno aveva la prestigiosa bellezza di un'opera di scultura, con la sua superficie magistralmente lavorata dal calcagnolo; le pietre aggettanti, con i loro orli smussati, sembravano cantare; e non ve n'erano due di cui l'una fosse l'esatto duplicato dell'altra, più di quanto non lo siano due marmoree statue di Donatello.
Infissi nei massicci blocchi c’erano anelli di ferro, ai quali i visitatori legavano i loro cavalli; agli angoli, robusti sostegni di bronzo per le torce. Nelle due vie adiacenti, a ridosso dei muri, alte panche di pietra dove i socievoli fiorentini potevano sedersi a discorrere e a prendere il sole.
- Ognuna di queste bugne è così bella - disse Michelangelo, rompendo il silenzio -
che si potrebbe collocarla su un piedistallo ed esporla nella Loggia.
- Può darsi - ammise Bertoldo - ma, per il mio gusto, sono troppo massicce. Danno all'edificio l'aspetto di una fortezza. Preferisco i lisci e regolari pannelli di pietra del primo piano, e più ancora quelli del secondo, squisitamente intagliati come gemme. Sono essi che rendono il palazzo sempre più leggero quanto più sale nello spazio.
Sai? io non mi sono mai reso conto che l'architettura è un’arte quasi altrettanto grande quanto la scultura.
Bertoldo sorrise con bonaria indulgenza.
Per Giuliano da Sangallo, il più sensibile architetto della Tosca na, ti direbbe che l'architettura è scultura, in quanto consiste nel ridare forme per occupare uno spazio. Un architetto che non sia anche scultore, riesce soltanto a costruire edifici senza respiro. All'occorrenza, potrai disegnare un palazzo come disegneresti una Pietà.
Un angolo dell'edificio, all'incontro di via Larga con via de Gori, presentava una loggia aperta della quale i membri della famiglia si servivano per banchetti e feste: spettacoli che i fiorentini osservavano con divertita curiosità. Su quella loggia dalle splendide arcate di pietra forte i cittadini, i mercanti e gli uomini politici conferivano con Lorenzo; là artisti e dotti s'incontravano per discutere i loro progetti. E per tutti c'era un bicchiere di squisito vino bianco della Grecia, la bevanda più signorile dell'epoca, accompagnato da un dolce.
Michelangelo e il suo maestro varcarono il massiccio portone ed entrarono nel cortile quadrato chiuso fra porticati, ognuno di dodici imponenti colonne dai capitelli scolpiti. Bertoldo indicò con fierezza all'allievo una serie di otto sculture d'impronta classica situate nello spazio tra la sommità degli archi e i davanzali delle finestre.
Quelle sono mie. Le ho copiate da gemme antiche: vedrai gli originali nella raccolta di Lorenzo, nel suo « studiolo ». Sono cosi belle, che la gente le attribuisce a Donatello!
Michelangelo aggrottò la fronte: com'era possibile che Bertoldo si accontentasse di seguire così umilmente le orme del suo maestro? Ed ecco, il suo sguardo incontrò due delle più famose sculture fiorentine: il Davide di Donatello e quello del Verrocchio. Con un grido di gioia corse a toccarle. Bertoldo, avvicinatosi a sua volta, fece scorrere sulle superbe superfici di bronzo la sua mano scaltrita.
- Ho collaborato alla fusione di questa statua per Cosimo de' Medici, destinata fin da allora a prender posto qui, in modo da poter essere contemplata da ogni angolo del cortile. Come eravamo eccitati! Per secoli si era soltanto praticato il bassorilievo, o si erano scolpite figure fissate a una superficie retrostante: questa era la prima statua isolata di bronzo che venisse gettata dopo più di un millennio, Prima di Donatello, la scultura era un semplice accessorio ornamentale dell'architettura, usato in nicchie, porte, stalli di cori e pulpiti. Donatello è stato il primo scultore a lavorare di tondo, dall'epoca dei Romani.
Michelangelo fissava a bocca aperta quel Davide cosi giovane e morbido, con le lunghe ciocche ondulate e il petto quasi di fanciulla, l'esile braccio flesso sopra la spada gigantesca, la gamba sinistra incurvata con tanta grazia per posare il piede sulla testa mozza di Golia. Un duplice prodigio, pensava: anzitutto, che la fusione avesse dato un risultato così perfetto nella levigatezza del modellato (e di questo, il merito spettava in parte a Bertoldo); in secondo luogo, che un adolescente cosi delicato, sottile e flessuoso quasi come Contessina, avesse potuto uccidere Golia.
Gli rimasero pochi altri istanti per studiare tre sarcofagi romani, sotto le arcate del cortile, e due statue restaurate di Marsia; poi Bertoldo lo trasse via. Salirono il maestoso scalone che conduceva alla cappella, dove i vividissimi affreschi di Benozzo Gozzoli strapparono al ragazzo un'esclamazione di meraviglia.
Mentre Bertoldo lo conduceva di stanza in stanza, egli non poté far altro che girare continuamente la testa in ogni direzione: era una vera foresta di sculture, una ininterrotta galleria di quadri. Non aveva abbastanza occhi per vedere, e l'emozione minacciava di sopraffarlo a ogni passo. Nessun grande artista italiano, cominciando da Giotto e da Nicola Pisano, che qui non fosse rappresentato. Marmi di Donatello e di Desiderio da Settignano, di Luca della Robbia e del Verrocchio. Bronzi di Bertoldo. Pitture appese in ogni vestibolo, corridoio, salone, stanza di soggiorno, studio, camera da letto: il San Paolo e la Piazza della Signoria di Masaccio; la Battaglia di San Romano e la Lotta dei draghi e dei leoni di Paolo Uccello; la Crocifissione su tavola di Giotto; la Madonna e l'Adorazione dei Magi del-l'Angelico; la Nascita di Venere, la Primavera e la Madonna del Magnificat di Sandro Botticelli. E poi, opere di Andrea del Castagno, di Filippo Lippi, dei Pollaiuolo e di cento altri artisti, dai veneziani ai fiamminghi.
Dopo quella sfilata di stanze situate al cosiddetto piano nobile del palazzo, ecco infine lo «studiolo» di Lorenzo. Non si trattava di un ufficio, ma di un vero studio personale, con la volta scolpita da Luca della Robbia e la scrivania collocata contro la parete di fondo, sotto scaffali e mensole che reggevano gli inestimabili tesori del Magnifico: gemme, cammei, bassorilievi di marmo, antichi manoscritti miniati. Una camera deliziosamente confortevole e stipata di oggetti rari, fatta più per raffinati ozi che per il lavoro, con alcune piccole tavole di Giotto e di Van Eyck, vetusti bronzi e un Ercole nudo sopra il caminetto, picco. le teste bronzee sopra gli architravi delle porte, vasi di cristallo disegnati dal Ghirlandaio.
Domandò Bertoldo: - Che ne pensi?
- Nulla. Mille cose. Mi sento il cervello paralizzato.
- Non mi sorprende. […].”
(Tratto da: Irving Stone, Il tormento e l’estasi, Dall’Oglio editore, 1964)

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