La cucina degli avanzi in Toscana

“[…] Un altro importante tema di riflessione riguarda l’utilizzo alimentare dei resti di cucina in caso di penuria di prodotti come avvenne durante l’autarchia conseguenza delle sanzioni economiche che l’Italia fascista subì a causa dell’aggressione dell’Etiopia nel 1936.
Nel periodo autarchico a tal scopo si veda paolo Nesti e il suo libro “Tra vita regime e cucina. A Pistoia e in Italia”, si assisté all’uso alimurgico di parte degli scarti vegetali e di altre parti normalmente non edibili delle verdure, come ad esempio, le bucce dei piselli, bollite e passate al setaccio servivano per cucinare <<una saporita minestra>> e poi ancora <<i piccioli delle melanzane, bolliti, si infarinano e friggono: hanno un buon sapore di funghi>>.
Oppure ad esempio, venivano valorizzati per altri usi anche non alimentari i resti di cucina come <<l’acqua di cottura delle patate libera il bestiame dagli insetti e pulisce guanti e argenterie>>, oppure <<i noccioli di frutta possono essere utilizzati per alimentare gli impianti termici casalinghi o sfruttati in applicazioni industriali.
E’ interessante osservare che l’autore a proposito degli sprechi dice: <<Molta attenzione era riservata anche ai cereali e alla pasta in particolare a quella che di solito rimaneva sul fondo della madia in forme di varia foggia e dimensione che si consigliava di impiegare nelle minestre di legumi o per comporre un fritto, dolce o salato. […]”
(Enrico Vacirca, in La cucina degli avanzi, attraverso le ricette contadine)

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