I razionamenti nella Firenze in guerra

“[…] L’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, aveva avuto un impatto durissimo sull’economia di Firenze, determinando un brusco peggioramento delle condizioni di vita. In città il primo provvedimento che limitava la vendita del caffè per alcuni giorni alla settimana era stato emanato già a partire dal 1939. Un’assenza a cui si era cercato di supplire con l’uso di orzo, insaporito da ceci tostati o dalla soia; anche il thè, di importazione inglese, era stato bandito e i negozi lo avevano sostituito con karkadè, un infuso amarognolo che aveva il merito di giungere direttamente dalle nostre colonie; e ancora, nel settembre dello stesso anno era stato diffuso il divieto vendere carni per due giorni a settimana e ridotta l’assegnazione mensile di zucchero, olio, burro e sapone, rispettivamente a mezzo chilo, mezzo litro, tre etti e 200 grammi. A guerra in corso, poi, le restrizioni e privazioni erano aumentate progressivamente. Alla fine del 1940, il pane iniziava a essere miscelato con farina di granoturco e la pasta erogata per un massimo di due chili al mese a persona (quantità che in Toscana era stata ridotta presto ad un solo chilo).
In occasione delle festività era stato fatto divieto di distribuzione di dolci e con l’autunno il pane era finito tra i prodotti tesserati e fornito in una quantità di 200 grammi a testa al giorno, divenuti l’anno a seguire 80. Sempre più introvabili carne, burro, olio e zucchero, mentre per il latte era necessario iscriversi al “registro del lattaio”. Il razionamento andò ben presto a riguardare anche l’abbigliamento e le sigarette; così come la possibilità di avere del carburante, limitazione che bloccò la mobilità privata e pubblica. Si aggiunga la minore somministrazione di carbone, indispensabile per il riscaldamento nei mesi invernali. […]”
(Tratto da: "Tra il Mugnone e Cercina: itinerari della Guerra e della Resistenza", a cura dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana e del Quartiere 5)

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