La crisi finanziaria quando a Firenze c’era il fiorino

Testo di Roberto Di Ferdinando

Crisi finanziaria e delle banche, spread, spending review, ecc.. Niente di nuovo per Firenze, che già 700 anni fa dovette affrontare tutto questo. Torniamo indietro di qualche secolo, mettiamo la lancetta della macchina del tempo alla fine del Duecento. Firenze è il centro culturale, commerciale, manifatturiero e finanziario del mondo allora conosciuto. Merito di tutto ciò è di alcune personaggi che, allo stesso tempo imprenditori, commercianti e banchieri, nel corso del secolo avevano accumulato capitali e proprietà ingenti. Infatti, sulla metà del XIII° secolo varie personalità fiorentine si diedero ad attività imprenditoriali più varie, in gran parte facendo fruttare i terreni. I ricavi erano stati immediatamente investiti in altri settori, creandosi cosi vasti “imperi”.  Data la varietà delle attività questi imprenditori-commercianti avevano sempre più bisogno di capitali di denaro per sostenere i loro investimenti ed espansioni commerciali. Dapprima questi si rivolsero, nel chiedere fondi e prestiti, nella cerchia dei loro familiari poi si rese necessario ampliare il giro e quindi iniziarono ad accumulare depositi anche da terzi. Da questo momento l’imprenditore-commerciante, diventa anche banchiere. Nel 1343 la famiglia dei Peruzzi poteva contare sulla collaborazione di 133 fattori, nel 1345 quella dei Bardi, invece, di 346 fattori, disponendo di 25 filiali, 12 in Italia e le restanti a Londra, Marsiglia, Bruges, Barcellona, Gerusalemme, Rodi e Costantinopoli (i dati riportati in questo mio testo sono tratti dall’articolo di Giovanni Vigo, apparso sul numero di Sette-Corriere della Sera del 13 luglio 2012). Ma da lì a pochi anni questa diffusa ricchezza sarebbe ben presto crollata. Due i fattori che misero in ginocchio i banchi fiorentini: il Comune di Firenze e le ambizioni d’espansione del re d’Inghilterra. Andiamo per ordine. A Firenze il bengodi dei decenni precedenti aveva spinto il governo cittadino ad espandere la spesa pubblica che a metà del Trecento era passata da 50.000 a 600.000 fiorini d’oro. Il Comune era quindi ricorso ai finanziamenti dei banchi i quali vedevano l’operazione redditizia, in quanto si riteneva il Comune rispettoso dei suoi impegni e con un rendimento abbastanza alto. Ma solo sulla carta fu un affare, difatti tra il 1342 ed il 1345, il rendimento, dinanzi alle difficoltà del Comune di restituire i soldi, cadde e l’esigibilità del debito pian piano scomparve. Accanto all’insolvenza del Comune si aggiunse l’impossibilità del re d’Inghilterra, Edoardo III, di fare fede al debito ingentissimo che aveva sottoscritto con i banchieri fiorentini per finanziare la guerra, poi non vinta, contro la Francia (i soli Bardi avevano dato in prestito ad Edoardo III quasi 900.000 fiorini d’oro). L’insolvenza del Comune e della corona inglese determinò una serie di fallimenti a catena dei banchi. Fallirono gli Acciaiuoli, i Bonaccorsi, gli Antellesi, i Peruzzi e, inevitabilmente, anche i Bardi. La crisi mise in ginocchio anche la città che dovette attendere dei secoli per riprendersi. La mancanza di un’integrazione finanziaria nell’Europa di allora, garantì, invece, che il crollo bancario di Firenze non avesse ripercussioni negative anche per le altre piazze continentali, ciò che, invece, sta accadendo con l’attuale crisi. Difetti della globalizzazione.
RDF

Commenti

  1. Ciò che è evidente che con la globalizzazione i problemi di uni diventano i problemi di tutti. La crisi economica è più o meno mondiale ciò che è una molto debole consolazione. Ma invece ciò che è certo questo è che ciò non è la prima crisi economica ha quale bisogna fare faccia.

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