Nuove scoperte della Firenze Romana
Articolo Pubblicato su Firenze Informa nel 2011
Testo e foto di Roberto Di Ferdinando
Non è mai stato scoperto, ma recenti indagini archeologiche fanno credere che la Firenze romana ebbe un proprio e grande ippodromo. Come scritto, nessun resto della struttura è stato ancora oggi, se mai lo sarà, rinvenuto, ma la conformazione urbanistica di alcune strade del centro fiorentino, brevi passaggi in testi medievali ed il rinvenimento di statue d’epoca romana fanno, fortemente, presumere che Fiorenza ebbe, nel III° secolo D.C., tale circo.
Nel quartiere di Santa Maria Novella, alla Croce del Trebbio (tra Via delle Belle Donne e Via del Moro), i palazzi seguono una curvatura, inspiegabile se non dal fatto, forse, che così poggiano le loro fondamenta su una struttura, non lineare, preesistente (il nostro ippodromo?); ad esempio, come i palazzi in via Torta, quartiere di Santa Croce, anch’essi con un profilo curvo in quanto, qui accertato dai resti rinvenuti, costruiti sull’antico Anfiteatro romano. Alla Croce del Trebbio, invece, di resti e delle gradinate del Circo massimo nessuna traccia, anche perché, nei secoli successivi, una volta finito il fasto della città romana, le pietre degli antichi ruderi furono saccheggiate ed impiegate come materiale per costruire nuovi edifici. Eppure, qui, qualcosa di curvilineo, doveva pur esserci, infatti, la prima cerchia comunale delle mura cittadine, all’altezza dell’attuale Via del Moro, invece di proseguire in maniera rettilinea verso l’Arno, qui, compiva una deviazione, una curva; cosa impediva il suo proseguimento lineare? Forse i resti dell’ippodromo. Non è da scartare questa ipotesi, non a caso i Medici scelsero la vicina Piazza di Santa Maria Novella come spazio per disputare il palio dei cocchi, una sorta di rievocazione delle antiche corse romane con le bighe, in cui gli aurighi indossavano i colori dei quartieri cittadini. Ed ancora, nella stessa Via delle Belle Donne (in passato Via Trevigi), furono murate, come abbellimento, sulle facciate di alcuni palazzi delle teste di statue romane, coma la famosa “Berta” ancora oggi visibile sulla parete esterna di sinistra della chiesa di Santa Maria Maggiore, che provenivano, forse, proprio dalle rovine del vecchio ippodromo.
Un’altra misteriosa, ma non tanto, testimonianza della Firenze romana è la statua di Marte; in verità il monumento equestre raffigurava Diocleziano (per alcuni l’imperatore Teodorico), che scelse Firenze come sede del governatorato della Toscana e dell’Umbria e pertanto gli fu dedicata la statua, posta vicino alla porta sud della città (via Gondi e via Calimaruzza) il cui basamento fu ritrovato nel 1873 ed oggi è conservato al Museo Archeologico.
Successivamente la statua fu trasferita proprio sulla riva destra dell’Arno, e, soggetta alle violenze delle acque del fiume, per molti anni fu dimenticata, fin quando, riconosciuta come un omaggio al dio Marte, protettore della città, fu ricollocata nei pressi dell’attuale chiesa di Santa Felicita, sulla riva sinistra, quindi non più in una sede centrale, in quanto raffigurante pur sempre una divinità pagana. Ma il destino del monumento fu ancora legato all’Arno. Difatti, fu trascinato via dall’alluvione del 1177, assieme al Ponte Vecchio, ripescato, fu collocato, su una colonna, presso l’attuale Piazza del Pesce, nonostante il disappunto del clero cittadino, Ma a liberare definitivamente il clero dall’ingombrante statua pagana, ci pensò ancora una volta l’Arno, con l’alluvione del 1333 che inghiottì per sempre la “pietra scema che guarda il ponte”, come Dante la descrive nella Divina Commedia, “scema” perché ormai , dopo tante ingiurie, mutilata e molto sciupata.
RDF
Testo e foto di Roberto Di Ferdinando
Non è mai stato scoperto, ma recenti indagini archeologiche fanno credere che la Firenze romana ebbe un proprio e grande ippodromo. Come scritto, nessun resto della struttura è stato ancora oggi, se mai lo sarà, rinvenuto, ma la conformazione urbanistica di alcune strade del centro fiorentino, brevi passaggi in testi medievali ed il rinvenimento di statue d’epoca romana fanno, fortemente, presumere che Fiorenza ebbe, nel III° secolo D.C., tale circo.
Nel quartiere di Santa Maria Novella, alla Croce del Trebbio (tra Via delle Belle Donne e Via del Moro), i palazzi seguono una curvatura, inspiegabile se non dal fatto, forse, che così poggiano le loro fondamenta su una struttura, non lineare, preesistente (il nostro ippodromo?); ad esempio, come i palazzi in via Torta, quartiere di Santa Croce, anch’essi con un profilo curvo in quanto, qui accertato dai resti rinvenuti, costruiti sull’antico Anfiteatro romano. Alla Croce del Trebbio, invece, di resti e delle gradinate del Circo massimo nessuna traccia, anche perché, nei secoli successivi, una volta finito il fasto della città romana, le pietre degli antichi ruderi furono saccheggiate ed impiegate come materiale per costruire nuovi edifici. Eppure, qui, qualcosa di curvilineo, doveva pur esserci, infatti, la prima cerchia comunale delle mura cittadine, all’altezza dell’attuale Via del Moro, invece di proseguire in maniera rettilinea verso l’Arno, qui, compiva una deviazione, una curva; cosa impediva il suo proseguimento lineare? Forse i resti dell’ippodromo. Non è da scartare questa ipotesi, non a caso i Medici scelsero la vicina Piazza di Santa Maria Novella come spazio per disputare il palio dei cocchi, una sorta di rievocazione delle antiche corse romane con le bighe, in cui gli aurighi indossavano i colori dei quartieri cittadini. Ed ancora, nella stessa Via delle Belle Donne (in passato Via Trevigi), furono murate, come abbellimento, sulle facciate di alcuni palazzi delle teste di statue romane, coma la famosa “Berta” ancora oggi visibile sulla parete esterna di sinistra della chiesa di Santa Maria Maggiore, che provenivano, forse, proprio dalle rovine del vecchio ippodromo.
Via delle Belle Donne ed il profilo curvilineo dei palazzi (sorgono su un antico ippodromo romano?) |
Un’altra misteriosa, ma non tanto, testimonianza della Firenze romana è la statua di Marte; in verità il monumento equestre raffigurava Diocleziano (per alcuni l’imperatore Teodorico), che scelse Firenze come sede del governatorato della Toscana e dell’Umbria e pertanto gli fu dedicata la statua, posta vicino alla porta sud della città (via Gondi e via Calimaruzza) il cui basamento fu ritrovato nel 1873 ed oggi è conservato al Museo Archeologico.
Successivamente la statua fu trasferita proprio sulla riva destra dell’Arno, e, soggetta alle violenze delle acque del fiume, per molti anni fu dimenticata, fin quando, riconosciuta come un omaggio al dio Marte, protettore della città, fu ricollocata nei pressi dell’attuale chiesa di Santa Felicita, sulla riva sinistra, quindi non più in una sede centrale, in quanto raffigurante pur sempre una divinità pagana. Ma il destino del monumento fu ancora legato all’Arno. Difatti, fu trascinato via dall’alluvione del 1177, assieme al Ponte Vecchio, ripescato, fu collocato, su una colonna, presso l’attuale Piazza del Pesce, nonostante il disappunto del clero cittadino, Ma a liberare definitivamente il clero dall’ingombrante statua pagana, ci pensò ancora una volta l’Arno, con l’alluvione del 1333 che inghiottì per sempre la “pietra scema che guarda il ponte”, come Dante la descrive nella Divina Commedia, “scema” perché ormai , dopo tante ingiurie, mutilata e molto sciupata.
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